Nato
a Sonnino (Latina), il 28 Gennaio del
1955, Alessandro "Spillo"
Altobelli
è un mix di tecnica, freddezza,
opportunismo, agilità, colpo di
testa. Attaccante velocissimo e preciso a rete,
dotato di un ottimo controllo
di palla e un buonissimo sinistro, è capace di
realizzare anche in rovesciata. Deve il
soprannome "Spillo" al suo
fisico esile. Altobelli si fa notare alla
grande giocando
nell'Inter, in cui arriva nel 1977, dopo un'
esperienza nel Brescia. "Sono
nato nerazzurro, e lo sono tuttora - racconta
-, indossare la maglia dell'Inter per me
è stato un punto d'arrivo: anche il
Latina, la mia prima squadra, aveva la maglia
nerazzurra". Alla prima stagione con
l'Inter realizza 10 reti, conquistando subito
i tifosi. L' anno successivo arriva
a Milano dal Brescia Evaristo Beccalossi,
l'uomo che gli darà tutto il risalto e
lo spazio per esprimersi al meglio delle sue
potenbzialità. Altobelli e Beccalossi
si intendono da subito e formano una coppia
che rappresenta al meglio l'Inter
rinnovata di quegli anni: aggressiva, giovane,
moderna, con i nuovi schemi di gioco imposti da
Bersellini. Nel 1980 arriva meritatamente lo scudetto,
a coronamento di un lavoro iniziato
tre anni prima. Altobelli segna tantissimo,
dimostrando di essere uno dei migliori attaccanti
italiani del periodo. Con l'Inter vince uno
scudetto e due Coppe Italia,
nel 1978
e nel 1982.
Se ne va nel 1988, dopo un litigio con
Trapattoni. In Nazionale debutta il
18 Giugno 1980, in Italia - Belgio (0-0). Nel
1982 ha
partecipato ai Mondiali di Spagna. (Il suo
debutto è del 29 Giugno 1982,
in
Italia Argentina, vinta da noi per 2-1)
In questi Mondiali segna
anche una rete, in finale, contro la Germania
Ovest. Nel periodo tra il 1985 e il 1988
Altobelli è
uno degli uomini simbolo della Nazionale
Italiana, indossando diverse volte la fascia di capitano e
formando, insieme a Vialli, una coppia d'attacco
davvero affiatata e temibile. Ha partecipato
anche allo sfortunato
Mondiale del 1986, in cui è il
trascinatore degli Azzurri con 4 gol in 4
partite.
Chiude
la sua carriera in Azzurro
il 22 Giugno 1988, in URSS - Italia (2-0),
dopo 61 presenze in Nazionale e avendo segnato
ben 25 gol.
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La
carriera di Alessandro Altobelli:
Con
la Nazionale Italiana ha vinto: 1 Campionato del Mondo (1982).
Con
l'Inter ha vinto:
1 Scudetto (79/80), 2 Coppe Italia (78/79,
81/82).
Presenze e
reti segnate con le diverse squadre:
Latina,
nel 73/74 - in Serie C 28
(7);
Brescia,
dal 74/75 al 76/77 - in Serie B 76
(26);
Inter,
dal 77/78 all'87/88 - in Serie A 317
(128).
juventus
1988/89 - in Serie A
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Una
intervista ad Altobelli, tratta da La
Repubblica del 26 settembre 2002
Alessandro
Altobelli, bomber dell'Inter e dell'Italia:..."E'
l'ora dello spettacolo e dei campioni"
... di MATTEO TONELLI
ROMA - Quello che avanza è un calcio
nuovo, più spettacolare. Che, almeno in
Europa, ha messo da parte l'idea del
"primo non prenderle". Un calcio
costellato dalle prodezze di campioni. Come il
milanista Pippo Inzaghi. Come lo juventino
Alessandro Del Piero. Come l'interista Hernan
Crespo. Alessandro Altobelli, ex stella
dell'Inter e della Nazionale, fotografa così
il buon momento del calcio tricolore.
Dopo anni di delusioni in Europa, potrebbe
essere scoccata l'ora dell'inversione di
tendenza?
"Credo di sì. Mi sembra sia
cambiata la mentalità. In Italia si
è sempre guardato troppo al risultato,
si è sempre detto meglio giocare male e
vincere. Ma questo atteggiamento in Europa
è perdente. Oggi le cose stanno
cambiando e l'uomo della svolta è
Ancelotti (allenatore del Milan ndr): i
risultati gli stanno dando ragione. Ma dirò
di più, io oserei di più e fari
giocare insieme Pirlo, Rui Costa e
Rivaldo".
Non è che finirebbero per pestarsi i
piedi e dare poca copertura?
"Guardi il Real Madrid, è pieno di
campioni dai piedi buoni, giocano tutti
insieme e vincono in continuazione"
Restiamo sui campioni: Inzaghi e Del Piero.
Pregi e difetti partendo dallo juventino.
"Alex è forte tecnicamente, non
è egoista, quando sta bene è
esplosivo. Chi gioca con lui segna molto anche
perché Del Piero partecipa molto alla
manovra. Difetti non ne vedo, forse non
essendo altissimo non è un gran
colpitore di testa".
Passiamo a Inzaghi.
"E'il classico uomo d'area, un pericolo
costante. Ha il classico egoismo della punta
pura. Un difetto? C'è chi dice che
dieci volte su undici finisce in fuorigico.
Sarà, ma l'undicesima è gol
sicuro".
Li vede bene insieme?
"Nella Juve erano in coppia ed erano
perfetti"
Inzaghi segna talmente tanto che le ho
soffiato il record di reti in Europa.
Dispiaciuto?
"No, i record sono fatti per essere
battuti. Io l'avevo levato ad Altafini,
Inzaghi l'ha levato a me, in futuro lo
leveranno ad Inzaghi. Comunque sono contento
che me lo abbia soffiato un campione di
razza".
They
called him "Pin" because of his thin,
wiry physique. But over the years he was able
to refine an exceptional tecnique that made
him one of the best centre forwards in the
world, contributing to Inter's success. He
played in the finals of the 1982 World Cup in
Spain, making the third goal against West
Germany.
Lo
chiamavano “Spillo” per il suo fisico
esile e segaligno. Ma negli anni seppe
affinare una tecnica eccezionale che lo rese
uno dei migliori centravanti del
mondo facendo la fortuna dell’Inter. Mise lo
zampino nella finale del Mondiale
di Spagna ’82 realizzando il terzo goal
contro la Germania Ovest.
Era
il 1938, c'era Pozzo, il fascismo e l'inno italiano
fischiato nella finalissima dal pubblico francese,
nazione che ospitava il mondiale; la nazionale
italiana di calcio replicava il successo di quattro
anni prima ottenuto a Roma. Da allora un'eternità,
tra figuracce coreane e imprese storiche come il 4-3
sulla Germania in Messico, salvo poi capitolare col
Brasile di Pelè.
Il
buon vecio (Enzo Bearzot) ce l'ha fatta; è
lui a raccogliere l'eredità di Pozzo e a
riportare la coppa del mondo nel nostro paese. Il
gruppo da lui formato già si era distinto
quattro anni prima in Argentina, mostrando un buon
calcio nel girone di qualificazione ma finendo
quell'avventura quarto posto; e in Spagna trionfò.
Il
1980 è l'anno dello scandalo del
calcio-scommesse; tra gli altri, il vicentino Paolo
Rossi subì una squalifica di due anni. Il
cartellino del calciatore passò dal Vicenza
alla Juventus e Rossi tornò all'attività
agonistica nel maggio del 1982, giocando le ultime
tre partite di campionato. Il nuovo esordio avvenne
in friuli, in un Udinese-Juventus stravinto dai
bianconeri di Torino e in cui anche Rossi entrò
nel tabellino dei marcatori. Bearzot non ci pensò
due volte, e Rossi entrò nella lista dei
ventidue.
Aleggiava
intorno alla nazionale un clima di profondo
scetticismo, talvonta sfociante anche in completa
sfiducia e in pesanti attacchi a Bearzot da parte
dei media. Gli azzurri, bisogna dirlo, non è
che entusiasmassero: il gioco era scadente e non si
poteva intravedere nemmeno lontanamente ciò
che poi quella squadra avrebbe mostrato; ma quegli
uomini non erano finiti, e lo dimostrarono sul
campo.
Dopo
un avvio molto stentato, con tre pareggi contro
Polonia, Perù e Camerun, gli azzurri finirono
in un nuovo girone di qualificazione con l'Argentina
di Maradona e Passerella, campione del mondo in
carica, e il Brasile di Zico, Socrates, Falcao,
Junior, favoritissimo in forza del gioco
spettacolare espresso. Solo una tra queste tre
squadre si sarebbe qualificata. "Povera
Italietta", titolano i giornali nostrani,
poveri di notizie dagli azzurri i quali si erano
rifugiati in un fino ad allora inedito
"silenzio stampa", rifiutando ogni genere
di dichiarazione ai cronisti i quali avevano come
unico interlocutore Dino Zoff, il capitano,
designato dai compagni come loro portavoce. Accadde
l'impossibile, come nella migliore delle favole. Il
Brasile, secondo i pronosttici, vinse con
l'Argentina. Un'Argentina arrembante affrontò
gli azzurri in un torrido pomeriggio estivo: Gentile
marcò a uomo Maradona, annullandone la
pericolosità con le buone e con le cattive;
Tardelli (colui che alla vigilia era stato indicato
come il probabile marcatore del Pibe de Oro) potè
dedicarsi completamente al centrocampo e in una
folata offensiva raddoppiò il gol di Cabrini,
rendendo vana la punizione di Passerella nel finale:
2-1 per l'Italia, finalmente una bella Italia. Ma
non basta: c'è ancora il Brasile a cui, forte
di una differenza reti migliore, basta un pareggio.
In Italia-Brasile, Gentile si ripete su Zico, Conti
fa il brasiliano trasformandosi in un imprendibile
folletto presente ovunque sulla fascia destra e
soprattutto lui, Paolo Rossi, si consacra Pablito
rifilando ai carioca la tripletta decisiva: per due
volte i brasiliani raggiunsero il pareggio, ma
sempre Rossi fu capace di rinverdire i suoi fasti,
riuscendo a sfruttare l'opportunismo che lo rese
famoso per andare a segno. Italia batte Brasile 3-2,
concedendosi pure il lusso di farsi annullare nel
finale un gol assolutamente regolare di Antognoni,
così da far fare il paratone decisivo a Zoff
su un insidiosissimo colpo di testa di Socrates che
sembrava già dentro. E' il trionfo. Molti
indicarono in questa partita la vera finale. Di
sicuro ogni strada italiana fu invasa da cortei
festanti di auto al grido di campioni campioni
inneggianti a coloro che solo pochi giorni prima
erano dei brocchi incalliti. L'Italia diventò,
forte del gioco messo in mostra contro i
sudamericani, la favorita principale per il titolo
finale. Affrontò la Polonia in semifinale,
rifilandole due gol ancora con Rossi, ormai
incontenibile, poi si impose per 3-1 nella
finalissima contro la forte Germania Ovest (con reti
ancora di Rossi, poi Tardelli -col mitico urlo- e Altobelli
) sotto gli occhi di un festante Sandro Pertini,
l'allora presidente della Repubblica.
Ognuno
di quei protagonisti merita la nostra ammirazione:
il longevico Dino Zoff, capace di difendere con
merito la porta azzurra alla soglia dei
quarant'anni, Gentile, il mastino, Cabrini, il
difensore che sa rendersi importante anche per
l'attacco, il compianto Scirea, grande regista della
difesa azzurra, Collovati lo stopper elegante,
Marini, Oriali, i mastini del centrocampo,
l'inesauribile Tardelli, Antonioni con suo sinistro
magico, Conti, il brasiliano, Graziani, Altobelli,
Causio, Bergomi, ma soprattutto lui, Pablito Rossi,
e l'uomo che in lui non ha mai smesso di credere:
Enzo Bearzot.
Questi
uomini sono diventati un mito. Sono pochi quelli che
lo possono.