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Mariolino
Corso
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Curriculum nell'INTER
Presenze
e gol
in Serie A: 414 - 75
Presenze
e gol
Coppe internaz.: 48 - 10
Presenze
e gol
Coppe italiane: 40 - 9
Esordio:
13.07.1958 (C.Italia)
Ultima
partita: 17.06.1973 (Serie A)
Ha
vinto: 4 Scudetti (1963 - 1965 - 1966 - 1971);
2
Coppa dei Campioni (1964 - 1965);
2
Coppe Intercontinentali (1964 - 1965). |
Nato
a San Michele Extra (Vr) il 25.08.1941. Cresce
nell'Audace San Michele, dal quale l'Inter lo
preleva nell'estate del 1958.
Il
suo debutto in maglia nerazzurra risale al 23
novembre 1958 (Inter-Sampdoria 5-1), quando
Bigogno lo chiama in prima squadra per
sostituire Skoglund. Sette giorni dopo, a
Bologna, la sua prima rete in serie A.
Disputa quindici campionati con l'Inter
collezionando 414 partite e 75 gol. Con la
maglia nerazzurra vince quattro scudetti
(1963, 1965, 1966, 1971), due Coppe dei
Campioni e due Coppe Intercontinentali. Nel
1974 il suo passaggio al Genoa, dove conclude
la carriera l'anno dopo.
Nel 1977 si laurea a Supercorso di Coverciano;
nella stagione 1978-79 vince lo scudetto
Primavera col Napoli, in seguito guida le
prime squadre di Lecce e Catanzaro. Poi torna
all'Inter dove si occupa nuovamente della
Primavera. Nel 1985 Pellegrini lo chiama in
panchina per sostituire l'esonerato Castagner.
Attualmente è osservatore, ancora
dell'Inter.
Di
lui ha detto Enrico Mentana: "Il campione
che ho amato di più in assoluto era
Mario Corso, perchè era un genio
normale. Incontrandolo per strada poteva
sembrare un professore, un bancario... ma con
il piede sinistro e la palla faceva
assolutamente quello che voleva".
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Davvero
una bella favola esordire in nazionale, segnare
e sapere che il tuo gol sarà ricordato
per sempre ...
Una
lunga storia di gol,
iniziata per
la nostra Nazionale 87
anni fa,
il 15 maggio 1910 all'Arena di Milano con la
rete di Lana nell'amichevole vinta per 6
a 2 con la Francia, ... e il 4 novembre del '61,
a Torino, anche il giovanissimo Mariolino Corso segna per
l'Italia il gol n°500, nel 6 a 0 contro
Israele ...
(da
un articolo di Claudio
Valeri)
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Le
formazioni dell'Inter, nelle finali di Coppa
vinte nel 1964 e 1965 |
1964
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Inter
|
3
- 1
|
Real
Madrid CF |
Giuliano
Sarti,
Tarcisio Burgnich,
Giacinto
Facchetti, Carlo Tagnin,
Aristide Guarneri,
Armando Picchi,
Jair da Costa,
Alessandro Mazzola, Aurelio Milani,
Luis Suárez,
Mario Corso. (Allenatore: Helenio Herrera) |
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1965
|
Inter
|
1
- 0
|
Benfica |
Giuliano
Sarti,
Armando Picchi,
Tarcisio Burgnich,
Aristide Guarneri,
Giacinto Facchetti,
Gianfranco Bedin,
Luis Suárez,
Mario Corso,
Jair da Costa,
Alessandro
Mazzola,
Joaquín Peiró. (Allenatore:
Helenio Herrera) |
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Le
"foglie morte" di
Mariolino Corso - di
Franco Morabito
E' stato uno dei
più grandi talenti del nostro calcio,
un'ala atipica, mancino non velocissimo ma
imprevedibile, estroso, dotato di grande
fantasia. Ed ancora oggi, ventisei anni dopo
aver appeso le scarpe al chiodo, Mariolino
Corso è ancora presente ed attuale
nella memoria degli appassionati, soprattutto
- anche se non solo per quello - per le sue
straordinarie e millimetriche punizioni
"a foglia morta" che, calciate con
l'interno del piede sinistro, imprimevano alla
palla una traiettoria alta e strana che
superava puntualmente la barriera e si
concludeva assai spesso in rete.
"Era un mio colpo istintivo – confessa
l'ex giocatore interista che è legato
ancora oggi alla società nerazzurra,
per la quale fa l'osservatore girando il mondo
– che mi riusciva con grande naturalezza
grazie alla sensibilità con cui toccavo
la palla. Ad accorgersene fu Nereo Marini, uno
dei miei primi allenatori che ebbi quando ero
ancora giovanissimo e giocavo nella squadra
della mia città, l'Audace San
Michele". Quel modo di dire, diventato
celebre, che rende assai bene l'idea di una
palla che s'impenna e che ricade
all'improvviso arrivò però
qualche anno dopo. "Successe nel '61 dopo
una partita con la Nazionale che giocammo a
Tel Aviv contro Israele. Segnai un gol
bellissimo, che per il tipo di esecuzione fu
paragonato a quelli del repertorio del
brasiliano Didì, che era già
famoso per gli speciali effetti che sapeva
dare alla palla e che erano chiamati, appunto,
" a foglia morta". Fu così
che ereditai quel termine e non me lo sono più
levato di dosso".
Dai suoi tempi, in quest'ultimo quarto di
secolo, il calcio è profondamente
cambiato, è diventato complessivamente
meno tecnico e molto più agonistico. C'è
addirittura chi sostiene che, se avesse
giocato oggi, Corso avrebbe avuto forse più
difficoltà ad imporre la sua classe. Ma
lui non è d'accordo. "E' vero, il
calcio d'oggi è molto più
veloce, è più curata la
preparazione fisica. Ma anche ai miei tempi
c'erano giocatori veloci. Prendete Jair, ad
esempio: è uno che farebbe sicuramente
la sua figura anche oggi. D'altra parte non
è vero che non esistano più
giocatori tecnici: ce ne sono ancora anche se
non sono moltissimi. Ma sono proprio quelli, i
campioni, che fanno la differenza: quelli
bravi che, forse, corrono un po' meno degli
altri ma sanno far viaggiare la palla. E poi
non è vero neppure che io giocassi da
fermo; se uno non corre non arriva a giocare
per venti anni al calcio. C'è da dire,
semmai, che un giocatore di classe non può
avere la continuità degli altri,
è sempre stato e sarà sempre così".
La ricetta di Corso per riuscire ad affermarsi
anche nel calcio d'oggi è la stessa che
lui osservava ai suoi tempi: "E'
fondamentale lavorare, sudare, non sentirsi
mai arrivati. Io mi divertivo a calciare, agli
allenamenti arrivavo prima degli altri e
continuavo anche dopo, quando erano già
finiti. Questo è l'unico modo per
imparare in quelle cose che non ti riescono
bene e migliorare invece in tutte le altre. Ma
i bravi giocatori fanno ancora così, in
fondo, a guardare bene, non è che il
calcio sia cambiato poi così
tanto".
Da quando esordì in serie A con l'Inter
a 17 anni fino a quando, nel '75 con la maglia
del Genoa, tre infortuni consecutivi lo
costrinsero a chiudere definitivamente
("tutto sommato è stato un bene
perché difficilmente un giocatore riesce a
capire quando è arrivata l'ora di
smettere"), Corso ha vissuto un'infinità
di momenti belli. "La mia è stata
una carriera fortunata, se uno arriva a
giocare per quindici anni di seguito
nell'Inter vuol dire che qualcosa ha fatto...
Ricordo il giorno del mio debutto in prima
squadra: il 23 novembre 1958, contro la
Sampdoria. Vincemmo per 5-1 ma di quella gara
mi rimarranno sempre nella mente le 35 mila
persone che c'erano sugli spalti a San
Siro". La sua rete più bella:
"Il 15 gennaio 1961, Inter-Roma, quando
in pochi metri scartai Petrin, Giuliano,
Fontana e poi riuscii a mettere la palla in
rete dopo aver superato anche Cudicini in
uscita". Tre anni dopo, invece, la rete
più importante: "A Madrid nel
1964, quando l'Inter conquistò la Coppa
Intercontinentale per 1-0. Fui io a segnare
quella rete dopo aver controllato la palla di
petto e averla poi colpita, al volo, di collo
esterno sinistro".
A Mariolino Corso non sono mancate, però,
neppure le delusioni. A lasciargli ancora oggi
l'amaro in bocca è stato soprattutto il
suo rapporto con la Nazionale. "E' stato
l'unico neo di tutta la mia carriera nella
quale ho indossato solo 23 volte la maglia
azzurra senza poter disputare neppure un
Mondiale. Non sono mai riuscito a spiegarmi il
perché, sta di fatto che ho sempre perso
l'autobus giusto. Ammetto che certe volte le
mancate convocazioni me le sono procurate io
stesso col mio carattere, ma altre volte no,
non è stata affatto colpa mia. Ed
è questa la cosa che rimpiango di più".
Helenio Herrera: il tecnico nerazzurro al
quale Corso si sente più legato. Anche
se i rapporti fra loro non sono stati sempre
idilliaci, non foss'altro perché il 'mago'
gli rimproverava spesso di essere un po'
troppo introverso. "Allora – si
giustifica Corso – si parlava molto meno di
adesso, non c'erano tutti i contatti che ci
sono oggi con i media, si pensava solo a
giocare e ad allenarci".
Un'ultima battuta su cosa gli piace di più
e di meno sul calcio d'oggi. "Tutto e
niente, confesso che questo modo di giocare
non mi diverte molto: di campioni che
inventano, purtroppo, ce ne sono sempre
meno".
Franco Morabito -
Giornalista professionista, collaboratore
Corriere dello Sport-Stadio |
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MARIOLINO
CORSO, IL PIEDE SINISTRO DI DIO
Egregio direttore, sono un tifoso interista
dalla nascita, mio padre mi ha parlato della
Grande Inter e io ne sono rimasto affascinato,
soprattutto da Mario Corso, l’indimenticata
ala sinistra, e dalle sue leggendarie
punizioni a foglia morta.
Potrei avere sue maggiori notizie e
descrizioni della sua tecnica?
Artista tra i
massimi del calcio italiano, Mario Corso
respinge la definizione tout court di
“fuoriclasse” per via della carenza di
determinazione che fu forse alla base del suo
fallimento in Nazionale. Sulla sua classe però
è vietato discutere e non si può
negare che la sua arte, nonostante
l’ostracismo decretatogli da Helenio
Herrera, sia stata componente fondamentale dei
trionfi della Grande Inter. Corso rimase in
nerazzurro a dispetto della volontà del
Mago – che regolarmente a ogni estate ne
iscriveva il nome in cima alla lista dei
giocatori da cedere – per i costanti e
inflessibili interventi del presidente Angelo
Moratti, che con la moglie lady Erminia era
cultore delle magiche delizie calcistiche di
Mariolino. Nato a San Michele Extra, alle
porte di Verona, Corso arrivò
all’Inter dalla squadra del suo paese a
diciassette anni, nel 1958, entrando subito
nel gruppo dei titolari. La sua ascesa fu
fulminea, iscrivendosi in quella fortunata
generazione che poi Gianni Brera avrebbe
bollato “degli abatini”, tanto dotata di
raffinate qualità tecniche quanto
carente sul piano fisico. Ma Corso si faceva
perdonare le lacune e pure le lunghe pause a
colpi di “veroniche” e gol. Maestro del
dribbling con sberleffo, dell’assist
funambolico, aveva buona confidenza col fondo
della rete grazie alla diabolica abilità
nel calciare le punizioni di prima.
L’inventore riconosciuto della “folha seca”
era il grande Didí, giusto nel 1958 al primo
titolo mondiale come regista del Brasile del
primo Pelé, ma Corso non era da meno. Il suo
sinistro accarezzava il pallone
trasmettendogli una scarica elettrica, che lo
portava a impennarsi e poi a scendere di
colpo, beffardo, nell’angolino fuori portata
del portiere. Il più bel complimento,
trasformatosi poi in una etichetta, glielo
aveva confezionato il tecnico ungherese Gyula
Mandi, che nell’ottobre 1961, dopo la sua
spettacolosa prestazione a Tel Aviv nelle
eliminatorie mondiali, aveva esclamato:
«È il piede sinistro di Dio!». Ma
quell’exploit non gli era bastato per
guadagnarsi i Mondiali in Cile e sei mesi dopo
si era “vendicato” dell’esclusione
segnando un gran gol alla Cecoslovacchia e
facendolo seguire da un clamoroso gesto
dell’ombrello a San Siro all’indirizzo dei
selezionatori che gli avrebbe in pratica
precluso ogni possibile futuro azzurro. Le
discussioni sul suo ruolo si sprecavano: non
è un vero interno, è un
tornante, è un rifinitore, no, è
un attaccante. È un atipico. In realtà,
Corso era un artista col genio del grande
inventore. Si diceva che il grande Suarez,
regista designato, gli facesse un po’ ombra
e forse non fu un caso che, uscito di scena
l’asso spagnolo, Corso giocasse nel 1970-71
la sua più grande stagione. Era
considerato in declino, ma l’abbandono delle
velleità azzurre, il matrimonio e
l’ormai consumato addio di Helenio Herrera
lo galvanizzarono al punto che fu tra i grandi
protagonisti dello scudetto nerazzurro targato
“Robiolina” Invernizzi in clamorosa
rimonta sul Milan di Rocco e Rivera. Quando
poi don Helenio tornò all’Inter nel
1973, ottenne da Fraizzoli ciò che
sempre Moratti gli aveva negato:
l’epurazione del grande mancino. Che emigrò
al Genoa e rimase folgorato dalla sfortuna:
due fratture consecutive alla stessa gamba e
addio al calcio giocato. Così bene.
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Presenze di
Mariolino Corso nell'Inter
502
presenze e
94 reti in maglia nerazzurra
|
presenze |
gol |
Campionato |
414 |
75 |
Coppe Europee |
48 |
10 |
Coppa Italia e Supercoppa |
40 |
9 |
TOTALE |
502 |
94 |
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Palmarès di Mariolino Corso
Giocatore
Competizioni nazionali
Campionato italiano: 4
-
Inter: 1962-1963, 1964-1965, 1965-1966, 1970-1971
Competizioni internazionali
Coppa dei Campioni: 2
Inter: 1963-1964, 1964-1965
Coppa Intercontinentale: 2
-
Inter: 1964, 1965
Allenatore
Campionato italiano di Serie C2: 1
-
Mantova: 1987-1988
|
STORIA
DELLA COPPA INTERCONTINENTALE
Le
vittorie delle italiane
Oggi si chiama Toyota cup e dei mitici trofei
assegnati negli anni ’60 conserva solo il fascino
della gara. In totale le squadre italiane hanno
vinto sette edizioni su 12 finali disputate. Ma sono
le milanesi a identificarsi con questo trofeo. Negli
anni ’60 per due volte vinse l’Inter di Herrera.
Di fronte c’erano i terribili argentini dell’Indipendiente.
Furono due battaglie tremende, senza esclusione di
colpi. La prima, nel 1964, fu la più
sofferta. Tre appuntamenti per superare i duri
sudamericani che esordirono con una vittoria a
Buenos Aires per uno a zero. Il ritorno a Milano
vide i nerazzurri prevalere di due goal, ma il
regolamento antico della Coppa Intercontinentale non
prevedeva il vantaggio della differenza reti. Si andò
dunque alla bella, al Santiago Bernabeu di Madrid,
tempio del calcio europeo dove il Real aveva vinto
le prime cinque edizioni della Coppa dei Campioni,
dal 1955-‘56 al 1960-‘61. Fu battaglia anche a
Madrid e l’Internazionale di H.H., Helenio Herrera,
detto il mago si impose di misura, uno a zero,
suggellando la sua supremazia mondiale come club.
Tutto il mondo era al cospetto dello scatto
imprendibile di Sandrino Mazzola e delle
beffarde punizioni a “foglia morta” del sornione
Mariolino Corso.
L’anno dopo gli uomini d’oro di H. H. si
ripeterono in due sfide, mettendo il sigillo con la
vittoria in casa per tre a zero, goal finale di
Mazzola.
Non ci fu nulla da fare per la partita in Argentina,
pareggiata a reti bianche dall’Indipendiente…
Così, l’Inter raggiungeva il Santos del
grande Edson Arantes do Nascimento, detto Pelè,
la squadra più forte del continente
sudamericano. ...
MAURIZIO
RUGGERI
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