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Roberto Mancini allenatore della squadra dell'Inter
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ROBERTO
MANCINI
Nato il: 27 Novembre 1964 a Jesi (An)
Statura: 179 cm
Peso: 78 Kg.
Statistiche della stagione 2015/2016 di
Roberto Mancini nell'Inter
Mancini: "Siamo l'Inter,
puntiamo al massimo"
Le parole del tecnico nerazzurro
alla vigilia di Inter-Atalanta, 1^ giornata della Serie A
TIM 2015/16
APPIANO GENTILE
- Prima conferenza della stagione per Roberto
Mancini, che al centro sportivo "Angelo Moratti"
incontra i giornalisti alla vigilia di Inter-Atalanta. Si
inizia dagli obiettivi della squadra per il campionato che
sta per cominciare: "Scudetto? Quando inizia il campionato
tutti partono per il massimo traguardo. Siamo coscienti
della nostra qualità, dipenderà da noi. L'Inter deve partire
sempre puntando all'obiettivo più importante. Partiamo tutti
alla pari, saremo noi a dover costruire il nostro destino.
La nostra è una squadra competitiva, dovremo esser bravi a
restare nel gruppo di testa. Il lavoro che abbiamo fatto
l'anno scorso ci servirà, deve essere la base per i nostri
successi futuri. Io sono abbastanza tranquillo su quello che
la squadra potrà dare nel corso della stagione".
Inevitabile
poi qualche domanda sul mercato: "La società sta lavorando,
ma il nostro pensiero è rivolto ad Atalanta e Carpi. Il
fatto che sia ancora aperto il mercato è un elemento di
disturbo, perché un allenatore vorrebbe sempre lavorare con
la rosa definitiva sin dal primo giorno di ritiro. Ma le
voci di mercato le lasciamo a chi lavora all'esterno.
Perisic? Abbiamo operato per migliorare la rosa, vedremo
quello che accadrà entro fine agosto. Chi mi ha stupito dei
nuovi? Sono giocatori che hanno bisogno di ambientarsi, non
è semplice. Abbiamo lavorato molto bene in fase di
preparazione e questa è la cosa più importante. C'è bisogno
di tempo per conoscere il campionato e i compagni. Le
partite estive non hanno grande importanza, servono solo per
arrivare pronti al primo impegno ufficiale e per sistemare
delle situazioni di gioco. Da domani conterà il risultato e
sarà importante conquistare i tre punti".
Quindi, sui
singoli: "Hernanes? Sta abbastanza bene, ha lavorato con il
gruppo tutta settimana. Vedremo dopo l'ultimo allenamento.
Jovetic-Icardi coppia titolare? Davanti abbiamo tre
giocatori, due giocheranno. Vedremo... Vertice basso del
rombo? Al momento abbiamo Gnoukouri e Medel che possono
ricoprire quella posizione. Montoya? Nessuno di noi ha mai
avuto dubbi su di lui. Arriva da una grandissima squadra e
anche lui ha bisogno di tempo per adattarsi. Medel mezz'ala?
Gary può fare tanti ruoli, è un giocatore eclettico".
Infine
spazio ad alcune curiosità sui movimenti in entrata e in
uscita: "Kovacic-Kondogbia? Geoffrey può diventare uno dei
migliori centrocampisti al mondo, è stato acquistato perché
si è presentata la possibilità di farlo. Per Mateo è stato
un discorso diverso, legato al fair play finanziario.
Cederlo non era volontà di nessuno. Purtroppo è stata
un'esigenza. Cosa è mancato a Shaqiri? Puntavamo molto su di
lui, ma a luglio è stato il primo giocatore richiesto da
altri club. Avevamo bisogno di sacrificare qualcuno e a
malincuore abbiamo deciso di rinunciare a lui. Non è una
questione di programmazione, è stata una scelta dettata da
altri motivi. Gli auguro il meglio in Premier League".
22-Agosto-2015
- tratto da
www.inter.it
Carriera di Roberto Mancini
stagione |
squadra |
serie |
vittorie |
2000/01 |
Fiorentina |
A |
TIM Cup |
2001/02 |
Fiorentina |
A |
|
2002/03 |
Lazio |
A |
|
2003/04 |
Lazio |
A |
TIM Cup |
2004/05 |
Inter |
A |
TIM Cup |
2005/06 |
Inter |
A |
Scudetto, TIM Cup,
Supercoppa Italiana |
2006/07 |
Inter |
A |
Scudetto, Supercoppa
Italiana |
2007/08 |
Inter |
A |
Scudetto |
2009/10 |
Manchester City |
PL |
|
2010/11 |
Manchester City |
PL |
FA Cup |
2011/12 |
Manchester City |
PL |
Campionato inglese |
2012/13 |
Manchester City |
PL |
Community Shield |
2013/14 |
Galatasaray |
SL |
Coppa di Turchia |
|
Competizione |
V |
N |
P |
piazzamento |
2004/05 |
Campionato |
18 |
18 |
2 |
3' |
Champions League |
6 |
4 |
2 |
el. 4i di finale |
Coppa Italia |
7 |
1 |
0 |
Vittoria |
2005/06 |
Campionato |
23 |
7 |
8 |
Scudetto |
Champions League |
7 |
3 |
2 |
el. 4i di finale |
Coppa Italia |
4 |
4 |
0 |
Vittoria |
Supercoppa di lega |
1 |
0 |
0 |
Vittoria |
2006/07 |
Campionato |
30 |
7 |
1 |
Scudetto |
Champions League |
3 |
3 |
2 |
el. 8i di finale |
Coppa Italia |
6 |
1 |
1 |
2' |
Supercoppa di lega |
1 |
0 |
0 |
Vittoria |
2007/08 |
Campionato |
25 |
10 |
3 |
Scudetto |
Champions League |
5 |
0 |
3 |
el. 8i di finale |
Coppa Italia |
4 |
2 |
1 |
2' |
Supercoppa di lega |
0 |
0 |
1 |
2' |
TOTALE |
140 |
60 |
26 |
|
Il nuovo
tecnico dell`Inter, Roberto
Mancini
è nato a Jesi, provincia di Ancona
il 27 novembre 1964.
Cresciuto nelle giovanili del Bologna, da giocatore ha disputato
19 stagioni in serie A con i felsinei (esordio il 13 settembre
`81: Bologna-Cagliari 1-1), la Sampdoria (dall`82-83, fino 96-97)
e la Lazio (dal 97-98 fino al 99-2000), collezionando 541 presenze
e 157 gol e vincendo 2 scudetti, 6 coppe Italia (record assoluto),
2 Supercoppe italiane, 2 Coppe delle Coppe, 1 Supercoppa Europea.
Da segnalare anche le 36 partite e i 4 gol con la maglia della
Nazionale.Come allenatore, Mancio esordisce con la Fiorentina
nella stagione 2000/01 (in Perugia-Fiorentina 2-2, l`11 marzo
2001), subentrando all`esonerato Terim e portando i viola alla
conquista della Coppa Italia. Si dimette l`11 gennaio 2002 e il 9
maggio diventa ufficialmente il nuovo tecnico della Lazio,
subentrando curiosamente, anche in quell`occasione, ad Alberto
Zaccheroni. Alla sua prima stagione in biancoceleste arriva quarto
in campionato e in semifinale di Coppa Uefa e Coppa Italia,
nonostante i gravi problemi della società. Sesto posto nell`ultimo
campionato ma ancora una vittoria in Coppa Italia (la sua ottava
in assoluto). Il suo bilancio in serie A è di 39 vittorie, 29
pareggi e 30 sconfitte.
MANCINI: "IL NUOVO ANNO È
INIZIATO BENE"
|
LIVORNO - "Il nuovo anno è iniziato bene, così come
si era concluso", queste le prime parole d Roberto
Mancini al termine di Livorno -Inter. Mancini
prosegue: "Siamo felici di aver giocato una buona
gara, forse avremmo potuto chiuderla prima.
Materazzi dopo il gol ha detto qualcosa verso la
panchina? Ha detto qualcosa, ma non si stava
rivolgendo alla panchina. Ce l'aveva con qualcuno
che lo prendeva in giro durante il riscaldamento.
Sono contento per Marco, oggi ha dimostrato cosa
significa farsi trovare pronti. E poi questo
pomeriggio la difesa ha fatto benissimo". Quanto
alle domande sul calciomercato Mancini spiega: "L'ho
già detto ieri in conferenza stampa: nessuno dei
giocatori dell'Inter è venuto a chiedermi di andare
via. Io sono molto contento dei giocatori che ho a
disposizione, anche se capisco che siamo in tanti e
qualcuno sia un po' sacrificato.
Capirei se ci fosse uno di questi che mi chiedesse
di essere ceduto per avere più spazio in un'altra
squadra". "Comunque oggi sono contento di quanto
fatto dai ragazzi - prosegue -. Non abbiamo mai
rischiato e questo è positivo, ripeto: forse avremmo
dovuto chiudere prima la partita, subire un gol
sfortunato può capitare sempre. Crediamo ancora di
poter essere protagonisti in campionato, ci
credevamo prima della sosta e lo facciamo a maggior
ragione ora. In queste ultime due partite siamo
stati un po' più concreti e cinici. L'Inter però è
stata sempre la stessa, in altre occasioni ci siamo
lasciati scappare possibili vittorie. I due rigori
concessi da Rosetti? Ho visto le immagini, ci sono
entrambi".
|
MANCINI A
"RADIO ANCH'IO SPORT"
MILANO -
Roberto Mancini è intervenuto questa mattina in diretta alla
trasmissione "Radio Anch'io Sport". Inter.it vi offre la
versione testuale dell'intervista al tecnico nerazzurro. Ecco
la prima parte.
Nessuna squadra è riuscita ancora a
battere l'Inter, un dato che non va sottovalutato.
"Sicuramente questo è vero. Nonostante questa soddisfazione,
in questo momento siamo ancora un po' lontani dalla vetta
della classifica. Il nostro obiettivo è quello di avvicinarci
il più possibile a Juventus e Milan".
Roberto Mancini è stato chiamato a
trasformare un gruppo di grandi giocatori in una squadra
vincente. Come procede il lavoro?
"Fare l'allenatore non è semplice, ovunque ci sono difficoltà.
Però mi sembra che all'Inter le cose stiano migliorando e
siano migliorate già molto".
Mancini non è arrivato da molto. Ci
vuole del tempo per creare una squadra vincente?
"Non c'è nulla di strano. Nelle grandi squadre si deve fare il
possibile per riuscire a vincere subito, noi stiamo cercando
di fare questo".
Si può dire che, rispetto alle Inter
degli anni scorsi, quella di oggi ha maggiore personalità?
"Questo non lo so, anche perché da fuori è difficile giudicare
e parlare di altre Inter sarebbe un po' parlare a sproposito.
Posso solo dire che la mia Inter ha iniziato con qualche
difficoltà , ma ora sta venendo fuori abbastanza bene. Stiamo
migliorando anche grazie ad alcuni errori commessi all'inizio,
ma credo che questo ci stia quando si cerca di fare le cose
bene e sempre al massimo. Comunque vogliamo proseguire sulla
strada imboccata e progredire ancora".
Quando l'Inter potrà permettersi il
tridente?
"Con i giocatori che abbiamo noi in organico è sempre stato il
mio pensiero giocare con tre attaccanti. Ma quando l'abbiamo
fatto abbiamo avuto qualche difficoltà di equilibrio. E
nonostante attaccanti straordinari in quelle occasioni abbiamo
avuto difficoltà anche ad arrivare sotto porta. Quando li
abbiamo schierati a gara in corso, e non dal primo minuto, le
cose sono invece andate meglio. La speranza è comunque sempre
quella di poter schierare il tridente".
Sinisa Mihajlovic contro la Roma ha
realizzato una doppietta su punizione. Non sono i suoi primi
gol all'Inter, anche se qualcuno all'inizio era titubante sul
suo arrivo a Milano.
" Mihajlovic è un grande campione, nella sua carriera ha vinto
tutto ciò che c'era da vincere. Sa giocare al calcio e questo
è fondamentale anche se ha 36 anni. È sempre stato un
giocatore che ha saputo gestire e curare il suo fisico con
grande professionalità. Quando ho chiesto all'Inter di
prenderlo, e lui era svincolato, pensavo potesse essere utile
al progetto con le sue caratteristiche".
Vedremo ancora la conta tra Mihajlovic e
Adriano per battere le punizioni?
"Spero di no, anche se non mi ero neppure accorto dalla
panchina e comunque non è successo nulla di grave. Ci sono
delle priorità per battere le punizioni, anche se i due che
erano sulla palla in quel momento sanno tirare le punizioni
abbastanza bene... Certamente, come avete sottolineato anche
voi, questo episodio ci riporta al calcio giocato quando
eravamo bambini. È vero da bambini si faceva così per calciare
un rigore o una punizione. Però, quella di sabato, era una
partita vera e difficile, da chiudere a nostro favore il prima
possibile. Altrimenti, se la Roma avesse pareggiato, la conta
l'avrebbero fatta a noi... (ndr.: sorride)".
Pochi minuti fa abbiamo parlato con
Fabio Capello degli spifferi dallo spogliatoio che c'erano
alla Roma e che, invece, non ci sarebbero alla Juventus. Che
cosa ne pensa?
"Sono cose che sono sempre successe. È chiaro che tutto
andrebbe tenuto all'interno dello spogliatoio, nel rapporto
tra le persone, però qualche volta può scappare una parola con
un amico giornalista. Ripeto: è sempre andata così. È
impossibile che non esca mai nulla"
MILANO -
Roberto Mancini è intervenuto questa mattina in diretta alla
trasmissione "Radio Anch'io Sport". Inter.it vi offre la
versione testuale dell'intervista al tecnico nerazzurro. Ecco
la seconda parte.
Qualcuno ha discusso sulla punizione
dalla quale è scaturito il primo gol di Mihajlovic, ma è anche
vero che, su un colpo di testa di Esteban Cambiasso diretto in
rete, c'era un fallo di mano di De Rossi...
"Sul colpo di testa di Cambiasso devo essere sincero: dalla
panchina mi sembrava di aver visto il tocco di mano. Sulla
punizione, invece, secondo me c'era".
Sui campi di calcio, al giorno d'oggi,
forse si protesta troppo e, a volte, senza ragione. Che cosa
ne pensa?
"Purtroppo è vero che si protesta tanto, infatti quando si
capita di vedere le gare del calcio inglese sembra di essere
in un altro mondo. Non so come si possa trovare una soluzione
per questo. Probabilmente è una questione di cultura. Quando
giocavo io si protestava, ma le cose non erano così
esagerate".
È giusto dire che sabato a Udine l'Inter
si gioca la vittoria del campionato?
"A inizio stagione abbiamo buttato via parecchi punti, ora
siamo nella condizione di non poter sbagliare. Dovendo
rincorrere, Un pareggio per noi viene interpretato come un
mezzo passo falso. Per raggiungere Juventus e Milan avremmo
bisogno di una serie di vittorie importanti, anche se non so
quante, perché ci sono ancora 14 gare da giocare, compresi
tutti gli scontri diretti. Non credo sia una cosa impossibile,
anche perché sta per tornare la Champions, nella quale siamo
tutti impegnati".
Esiste un problema tattico sul ruolo di
Juan Sebastian Veron?
"Per prima cosa devo dire che Veron sabato sera aveva la
febbre a 38 e non stava benissimo. Comunque, giocando in quel
ruolo, nelle ultime gare aveva fatto benissimo, per esempio a
Palermo. Poi lui svaria comunque a tutto campo. Con questa
disposizione abbiamo trovato un certo equilibrio, ma ciò non
vuol dire che Veron partirà sempre dalla fascia, anche se dire
che fa il tornante è molto riduttivo, visto il suo ampio
raggio d'azione".
Nel recupero di Christian Vieri quanto è
stato decisivo il vostro rapporto?
"Essendo stati anche compagni di squadra alla Lazio, lo
conoscevo già abbastanza bene sia come ragazzo che come
giocatore. Però credo che sia stato soprattutto merito suo
saper uscire da una situazione non difficile, ma neppure
semplice. È stato bravo e le sue qualità tecniche non si
discutono".
Infine: Adriano come sta?
"Nella gara con la Roma l'ho visto bene. Non si può sempre
pensare che realizzi un gol a partita. La cosa che più
c'interessa è che lui sta bene e che, rientrato dopo
l'infortunio, stia ritrovando il ritmo-partita". |
MANCINI: "INTER, ULTIMO AMORE ITALIANO"
|
MILANO
- "Sì, è vero, ho dichiarato che l'Inter sarà la mia
ultima esperienza nel calcio italiano. L'ho detto, ci
credo, spero di restare a lungo e di vincere tanto. No,
non penso che cambierò idea, l'Inter sarà l'ultima
esperienza in Italia". Con queste parole, le parole di
Roberto Mancini, per quello che lui stesso ha definito
"il suo unico pensiero", si è aperta la serata che la
Comuna Baires ha dedicato al tecnico nerazzurro.
L'incontro, organizzato e diretto da Renzo Casali, ha
visto la partecipazione di Darwin Pastorin e Antonio
Stefenoni, che hanno stimolato il confronto con Mancini.
Davanti a oltre 200 persone, nella nuova sede della
Comuna Baires di Milano in via Parenzo, il tecnico
nerazzurro ha raccontato il suo intatto sogno infantile
del calcio come divertimento, "era così per me quando
giocavo, e la sera prima della partita sognavo di
segnare un gol in un determinato modo, lo sognavo così
tanto che non mi addormentavo fin quando non era
riuscito proprio come lo desideravo; deve essere così,
un divertimento, anche per i miei calciatori, perché per
chi gioca non c'è nulla di più bello del calcio, della
poesia e della fantasia di una partita. Quando a
Bologna, ed era il 1977, mi dissero che avrei guadagnato
90mila lire al mese per aver superato il provino, non ci
credevo. Mi sono chiesto: come? mi pagano per
divertirmi?".
Sotto gli sguardi di Bedy Moratti e di Maurizio Fabris
del Consiglio d'Amministrazione dell'Inter, seduti in
platea insieme con Enrico Bertolino, Maurizio Cucchi e
tanti altri tifosi nerazzurri, Mancini ha parlato di
quando, a 13 anni, si trasferì a Bologna e "alla sera,
spesso, mi sentivo solo e telefonavo a mamma; forse, per
questo motivo, se mio figlio dovesse chiedere di
lasciare la famiglia a 13 anni probabilmente gli direi
di no". Il tecnico ha poi raccontato la carriera,
"strana", in nazionale ("sono stato uno dei calciatori
che ha raccolto meno presenze, anche se ho il record di
convocazioni con più ct diversi, da Bearzot a Sacchi"),
dell'impossibilità di riavvolgere il nastro degli anni
("è impossibile tornare all'atmosfera del calcio di 15 o
20 anni fa"), della sua libertà di espressione ("ho
sempre parlato, anche a sproposito, in libertà; la
libertà è la cosa più importante"), dell'imbarazzo
davanti alla questione-doping ("in tanti anni di
carriera non ho mai visto nulla di strano, forse perché
penso sempre positivo, forse perché ho cambiato poche
squadre, forse perché non ci voglio neppure pensare,
visto i danni che provoca questa situazione").
Una parte importante della storia del "Sogno del
Cavaliere Mancio" (questo il titolo della serata) è
stato dedicato al rapporto tra Mancini e la Sampdoria,
l'avversario che aspetta l'Inter domenica allo stadio "Meazza".
"È vero, in Massimo Moratti rivedo Paolo Mantovani, che
per me è stato come un padre. Io e Moratti - ha
confessato Mancini - ci siamo conosciuti davanti a una
bistecca, a Tortona, quando speravo di poter vestire, da
calciatore, la maglia nerazzurra. Poi le cose sono
andate diversamente e ci siamo ritrovati, con altri
ruoli, quest'estate. Moratti mi ricorda Mantovani per
l'amore che ha e che manifesta sempre nei confronti
dell'Inter, dei calciatori dell'Inter, dei tifosi dell'Inter.
È qualcosa di straordinario". Tanti, nell'incontro alla
Comuna, gli
attestati di fede nerazzurra ("non è più solo il blu il
mio colore preferito") e i ricordi di quella squadra
blucerchiata dei miracoli, dove è rimasto "una vita".
"In quella Sampdoria eravamo un gruppo incredibile.
Quando andavamo in ritiro ci divertivamo un mondo.
Passavamo le ore a parlare. Era bellissimo. L'amicizia
con Vialli è sempre stata sincera. Io e Gianluca avevamo
due carattere opposti, io più istintivo e introverso,
lui più intelligente di me, pensava sempre prima di
parlare... Abbiamo 'rotto' una volta sola, durante un
allenamento. Una stupidata, come capita tra amici veri.
Invece di chiamarmi 'Mancio' per passarmi al palla disse
'O Mancini'. Una cosa insolita per noi. Così non ci
siamo parlati per una settimana. Tutti ci dicevano 'dai,
fate pace', ma non c'era verso. Poi, alla gara dopo con
la Sampdoria, è tornato tutto come prima, come sempre.
Sono andato sulla fascia e, come gli ricordavo spesso,
gli ho tirato sulla testa la palla per segnare un gol...
".
Mancini ha riso e scherzato, ha ricordato di essere nato
"unico maschio fra 25 femmine", di avere avuto meno
fidanzate di Vialli, di essere stato innamorato della
prima maestra, quella della scuola elementare, di avere
un figlio (il più grande) non portato per il calcio, "ma
il secondo, quando gli ho tirato per la prima volta una
palla, ha fatto un bellissimo colpo di tacco".
La registrazione dell'incontro alla Comuna Baires con
Roberto Mancini andrà in onda, in versione integrale,
nei prossimi giorni su Inter Channel .
Dal sito ufficiale
www.inter.it
|

Fino a qualche tempo fa c’era,
adesso non so. È una scritta, sul muro che fiancheggia il
campo d’allenamento della Sampdoria, sopra Bogliasco. È un
inno al Mancio. Di lui parlano, ancora, al bar, all’edicola,
nella pizzeria vista mare dove a ndavano allora i giocatori.
Altro calcio, altra gente, altri profumi.
Mettiamola così: Mancini è uno che a Genova ha fermato il
tempo. Quella Samp fu una leggenda. Così, nessuno ha mai
cancellato la scritta. A dirla tutta, fu una leggenda pure a
Bologna. Dove era arrivato giovanissimo, nell’81, sfiorando
anche allora l’Inter. Ma poi, prese la via del mare. E della
leggenda.
Si realizza esattamente dieci anni dopo. Nella stagione
90/91, scudetto della Sampdoria. Il numero dieci, in questa
storia, ha un suo peso.
Lui, Vialli, Pagliuca. Anche
Marco Branca ha giocato lì.
Al campo si arriva per una strada a curve, si abbandona il
mare e si sale in collina. È un attimo. Il blu lascia posto
al verde. È la Liguria.
Al campo della Sampdoria ci sono finita per Inter Channel,
in tempi non sospetti. Volevo
ripercorrere la storia di Mancini Roberto, nato a Jesi
quarant’anni fa. Uno dei tanti che da ragazzini provano a
giocare a calcio, anzi, a pallone, si dice così. Uno dei
pochissimi a farcela. A farcela alla grande: a venirne fuori
da esemplare unico, di quelli cui si abbinano i termini,
classe, fantasia, intelligenza.
Volevo capire, per esempio, come si fa ad affrontare certe
scelte. A rinunciare a un sogno per lealtà nei confronti dei
tifosi. A metterci la faccia sempre e comunque. A non
pentirsi.
Lui, poi, l’ho incontrato a Firenze, allora allenava lì.
Aveva vinto una Coppa Italia e gestiva un gruppo di cui
doveva inventare, praticamente da solo, il futuro. La
Fiorentina era già allo sbando, lui non voleva sbandare.
Questione di carattere.
Me lo ricordo, seduto in tribuna all’Artemio Franchi vuoto.
Un guerriero.
Tornai a casa con alcune idee.
Che fosse un grande, e che fosse una specie di uomo ponte,
fra un calcio del passato e quello che invece ci stava
aspettando. Mi venne in mente che gente come Mancini fosse
la soluzione.
Aveva parlato di Paolo Mantovani come fosse un padre, di
Massimo Moratti come fosse non un sognatore, neanche un
generoso, ne aveva parlato come di una persona cui
affezionarsi, in cui credere.
Facemmo un gioco. Si poteva
tornare indietro, accettare l’offerta dell’Inter, venirci a
giocare.
Sì, si poteva, tanto questa era una storia immaginata, ma
perfino quella vera era così strana nella sua straordinaria
normalità da sembrare immaginata. Prendete il presidente di
uno dei club più importanti del mondo e mettetelo insieme a
uno dei numeri dieci più importanti del mondo.
Ma
non fateli incontrare, che so, in un grande albergo di
Milano, no, metteteli in un sera d’inverno a tavola in una
cittadina né bella né brutta, al confine fra la Liguria e la
Lombardia. Tortona, che di carino ha giusto un piccolo,
vecchio centro storico e una madonnina d’oro che svetta
nella nebbia. Utilizzate questa scenografia, perché è stata
quella vera.
Come è stato vero l’entusiasmo, come è stato reale il
rammarico di rinunciare per non riuscire a dire di no a un
pubblico. La Samp aveva perso Mantovani, non poteva perdere
anche Mancini.
Che finale dare alla storia
che non c’era stata?
Avremmo vinto, mi fece lui, di sicuro avrei dato il massimo.
Forse ho sbagliato, ma non me la sono sentita di abbandonare
quella gente. La parola ‘forse’ la utilizzò per un suo
dubbio personale, sull’Inter di dubbi non ne aveva.
Poi, di fatto, la Sampdoria chiuse un ciclo, anzi, era già
chiuso e lui se ne andò alla Lazio. Con Sven Goran Eriksson.
Sempre più uomo ponte, fra il calcio che non c’è più e
quello che verrà. Giocatore, allenatore in seconda, forse
manager. Uno capace di avere tutti i ruoli, diceva il suo
gemello del gol che era andato ad allenare in Inghilterra.
Gianluca Vialli raccontava che sì, sarebbe stato meglio per
lui venire all’Inter, giocarci, ma anche che Mancini non
sempre sceglie le soluzioni più facili. È uno capace di fare
scelte scomode.
È un numero dieci. È uno dei
migliori numeri dieci della storia. Forse lo è dentro, dev’essere
che quel dieci che ti porti sulla maglia ti segna, o forse
l’hai preso perché potevi solo essere così. I numeri dieci,
quando lo sono sul serio, sono gli uomini che danno l’anima
alla squadra. Sono irripetibili.
Poi Eriksson se ne andò in Inghilterra, da ct. Avevano
portato a casa uno scudetto, cinque coppe, avevano vinto.
Quando ho incontrato Mancini a
Firenze, tutto era già successo, molto doveva ancora
succedere.
La Fiorentina di Roberto Mancini dev’essere stata una prova
scomoda. Ci arriva che ancora si parla della viola come di
una grande realtà del calcio italiano. Ma dura poco.
L’uragano è dietro l’angolo. Mancini vince a Firenze una
Coppa Italia senza garanzie, senza nulla. Se non quella sua
forza da numero dieci, e da capitano, che sono diventate la
sua forza da allenatore. La passa alla squadra.
Dopo, torna a Roma.
Sempre Lazio, all’inizio dev’essere sembrato facile, ma poi
è tornato a doverci mettere la faccia. Voci allarmanti,
giocatori da motivare oltre la frontiera più conosciuta a
tutti nel calcio di oggi, il denaro. Dev’essere stato
entusiasmante, proprio perché è diventata una grande sfida.
Fino all’ultima finale di Coppa Italia.
Il destino gioca degli scherzi strani, quella partita la
vedo con Karl Heinz Rummenigge a Monaco di Baviera, felici
come avessimo vinto noi, dev’essere che quel modo di
sfiancare la Juventus e metterla alle corde, suona come una
specie di rivincita.
Mancini è uno che ha dato
tutto quello che poteva dare ovunque si sia messo in
discussione. È uno che si espone senza condizioni. Detta
così sembrerebbe quasi da icona del passato, ma questo è un
uomo fortemente ancorato al presente.
Rintracciare Roberto Mancini in rete, vuol dire approdare in
meno di un secondo a 79.900 risultati, tanto che il motore
di ricerca consiglia qualche griglia. Ha un sito suo, dove
leggi che gli piacciono le lasagne e Michelle Pfeiffer.
Neanche quanto a macchine scherza. È pure bello. È un vero
uomo ponte, fra il numero dieci che era e l’allenatore che
è.
Su quel muro del campo di
Bogliasco al confine fra il mare e la collina, c’è dipinta
anche la faccia del lupo di mare che simboleggia da sempre
la Sampdoria. Lui se l’è tatuata su un polpaccio.
Non so in quale giorno o notte abbia deciso di rimettersi in
gioco da noi. So che se gli si parla, è come se fosse un
destino segnato. Una storia di affinità elettive. Di
sintonie. Tipo una canzone, che non ha ancora inventato
nessuno, parole di Paolo Conte e ritmo dei Dire Straits.
Susanna Wermelinger
Dal sito ufficiale
www.inter.it
Il sito ufficiale di Mancini
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