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L'Inter...
commentata da
Beppe Severgnini
1° giugno
2010: esce EUROINTERISMI, quarto e ultimo atto
della quadrilogia nerazzurra di Beppe Severgnini.
Ricordiamo tutti una frase di Interismi (2002): «Quando
succederà, sarà bellissimo». "A cose fatte, -
dice Beppe - confermo. È bellissimo. Anzi, di più."
Qui di seguito il
comunicato stampa che segnala l'evento:
MILANO -
Multicenter - Piazza Duomo, 1
MERCOLEDI’ 9 GIUGNO
ALLE ORE 17.30
SPAZIO AUTORI –
PIANO TERRA
Beppe Severgnini
incontra il pubblico
e firma le copie del libro “Eurointerismi” Rizzoli
“Chi era tra voi,
deliziosi gufetti, che anni fa cantava ‘Non vincete
mai’? La canzone è diventata il vostro inno al
contrario. Ora vinciamo tutto, e sinceramente ci
divertiamo un mondo.”
Gridare “Siamo noi!
Siamo noi! I campioni dell’Europa siamo noi!” fino
alle tre del mattino, in un tripudio di bandiere
neroazzurre. Beppe Severgnini, a Madrid, come gli
interisti in tutto il mondo: felici di festeggiare,
con commozione, la fine dell’attesa. Nella stessa
stagione Champions League, scudetto (il
diciottesimo) e Coppa Italia – tripletta! Nessuna
squadra italiana c’era mai riuscita. L’Inter e i
suoi tifosi-filosofi – innamorati e pazienti, leali
e autoironici – hanno avuto il premio che
meritavano. Un lungo, incredibile cerchio si chiude
nel modo migliore. Se l’Inter è una forma di
allenamento alla vita, diciamolo: la vita sa essere
giusta e generosa. Scrive Beppe: “Ho intravisto da
bambino la Grande Inter di Herrera, festeggio oggi
una squadra ancora più forte: l’Inter Speciale del
Comandante Mou. Una squadra che ho cercato di
raccontare, per dieci anni, dal disastro al trionfo.
Eurointerismi è il libro della gioia senza ombre.
Potrebbe avere un sottotitolo: missione compiuta!”.
Beppe Severgnini
(Crema 1956) scrive per il “Corriere della Sera” e
la “Gazzetta dello Sport”, conduce il forum “Italians”,
ha lavorato per “The Economist” (1993-2003) ed è
autore di molti bestseller, tutti pubblicati da
Rizzoli. Tra questi Interismi (2002), Altri
interismi (2003) e Tripli interismi (2007), raccolti
nel Manuale del perfetto interista (aggiornato ogni
anno). Nel 2010 ha vinto il premio “Gianni Brera”.
Come tutti gli interisti, ha saputo aspettare.
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Alcuni brani "nerazzurri", tratti da articoli
di Beppe Severgnini |
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INTERdetti - di B.Severgnini, tratto da
“Italians” di Martedì, 7 ottobre 2003
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Beppe Severgnini:
cenni biografici- |
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Beppe Severgnini (segni particolari: Interista doc) è editorialista del "Corriere della Sera",
dove tiene la rubrica
"Italians", e ha
scritto su "The Economist",
per cui è stato corrispondente in Italia dal 1996 al
2003. Scrive per la Gazzetta dello Sport. Ha dedicati
all'Inter due veri bestsellers:“Interismi” (2002) e “Altri
interismi” (2003) E' nato il 26 dicembre 1956 a Crema (Cremona), dove ha
studiato fino alla maturità classica. Laureato in diritto
internazionale a Pavia, dopo un tirocinio presso le Comunità
Europee a Bruxelles, Severgnini è stato corrispondente a
Londra per "il Giornale" di Montanelli (1984/1988). Ha poi
viaggiato in Europa dell'Est, Russia e Cina (1988/1993) e ha
lavorato a Washington per "la Voce" (1994/95). E'
consigliere del Touring Club Italiano e socio dell'Aspen
Institute. Ha insegnato nell'Università di Parma (1998) e
all'Istituto Studi Superiori dell'Università di Pavia
(2002), che quattro anni prima l'aveva scelto come "laureato
dell'anno". Nel 2001 è stato insignito da Elisabetta II del
titolo di Officer (of the Order) of British Empire, O.B.E. Nel 2004, a Bruxelles,
è stato votato "European Journalist of the Year". |
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Il suo sito
ufficiale:
www.beppesevergnini.com
Italians: la sua
rubrica su
www.corriere.it |
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Articoli e citazioni
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Il gioco è
proprio finito, il calcio non diverte
più - ITALIANS -
Giovedì, 14 aprile 2004 |
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Ogni
interista si chiedeva, nei giorni scorsi: cosa c'è di più
orribile che uscire dalla Champions League contro il Milan,
per la seconda volta in due anni? La risposta è arrivata
martedì sera. Abbiamo perso la partita, la coppa e la
faccia. Tra tutte, questa è la cosa che secca di più. Uso la
prima persona plurale perché ogni tifoseria condivide
qualcosa: tanti ricordi, molte patetiche illusioni, qualche
responsabilità. Avevo davanti due famiglie con bambini, a
San Siro: vederli scappar via coi cappotti in testa mi ha
umiliato, più del gol di Sheva o di quello annullato
(ingiustamente) a Cambiasso. Ieri abbiamo letto e ascoltato
una litania di "non-si-può-andare-avanti-così!". Storie: si
può eccome. Si va avanti così perché si vuole andare avanti
così; altrimenti, si andrebbe avanti diversamente.
Eppure era cominciata bene, martedì'. La curva milanista
aveva esibito simpatiche coreografie nordcoreane, quella
interista una mappa d'Europa e cori possenti. I bambini
presenti - tanti - stavano a bocca aperta, perché San Siro
in notturna mette i brividi. Questa serata - pensavano i
genitori - non se la dimenticano più!
Previsione azzeccata. E' bastato un gol annullato da quell'arbitro
col nome da ciclista per scatenare il caos. Era un pretesto,
ovviamente. Ma non è la prima volta che dentro e intorno gli
stadi italiani succede il finimondo (anche ieri, a Torino).
Da anni arriva in campo di tutto: c'era bisogno di aspettare
il disastro in mondivisione per decidere di sospendere le
partite al primo lancio di petardi o fumogeni?
E le società, perché, non intervengono? Risposta multipla.
Perché sono ricattate. Perché hanno paura. Perchè non sanno
cosa fare. Perché fare qualcosa costa. Perché la politica
frena. Perché la magistratura non collabora (cito dal pezzo
profetico di Tosatti, mercoledì: "Sapete che i fumogeni si
possono portare in campo 'basta che non siano tirati'?")
Infine, e fondamentale: perché gli eccessi delle tifoserie
sono tradizionali e, sapete com'è, le tradizioni non si
possono cambiare. Ricordo trasmissioni TV, articoli, libri:
persone pacifiche finiscono per giustificare il tifo
violento in quanto spettacolare, artistico, letterario,
eccitante, futurista, quasi igienico.
E' inutile dire che a San Siro il casino l'hanno fatto
"pochi isolati". Non erano isolati, e non erano pochi.
Scrive Rocco Pozzi (roccopozzi@yahoo.com):
"Mi piacerebbe che per una volta non si parlasse dei 'soliti
cento idioti'. Io c'ero, e quasi tutta la curva lanciava
bottiglie, fumogeni accendini verso la porta di Dida."
Anch'io c'ero, e dico: mettiamo siano stati solo (solo!) in
trecento. Se la curva non li isola, diventa complice. Non
solo quella dell'Inter, ovviamente: tutte le tifoserie
d'Italia devono capire che c'è un confine. Una cosa sono la
passione, i cori e l'adrenalina; un'altra il lancio di
oggetti e razzi, gli slogan razzisti e la violenza. Dite che
questa distinzione non si può fare? E vi divertite così?
Bene: allora si chiude la baracca.
Uno striscione della curva rossonera diceva: "Game Over".
Loro intendevano: è finita, noi siamo meglio di voi. Hanno
invece scritto inconsapevolmente, in inglese, un epitaffio
italiano. Game over. Il gioco è finito. Quello del calcio,
intendo. Questo è un'altra cosa, e non ci diverte più.
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In attesa
del 14simo - ITALIANS - Venerdì, 01 aprile 2005 |
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Carissimo
Beppe,
sono il «webmaster» di un sito dedicato alla nostra tanto
grande quanto imprevedibile Inter. Tu sei il giornalista che
più di ogni altro ha saputo descrivere l'altalena di
emozioni che accompagna la vita di ogni interista, perciò ho
dedicato a te una pagina del mio sito. Ci sono alcuni tuoi
articoli, tue acute osservazioni, tue illuminanti
definizioni. So che ultimamente preferisci seguire «in
silenzio», ma spero che tu stia comunque elaborando il tuo
più atteso capolavoro: quello dedicato al nostro sospirato
14simo scudetto. Devi sapere che io sono sardo e, nella mia
zona, la regola è tifare Cagliari (giusto) o Juve (ahi). Io
per l'appunto sono nato in una famiglia formata da padre,
madre, più sette tra fratelli e sorelle (escludendo me)
tutti juventini, dal primo all'ultimo. Da piccolo ero
considerato una sorta di incomprensibile anomalia, di
bastian contrario, la «pecora nera» (nerazzurra), ma ho
resistito impavidamente a lusinghe e punizioni, e sono fiero
di appartenere al gruppo di quelli che non si arrendono, che
non mollano, che sanno aspettare. Se però anche mia figlia,
che ha dieci anni e mi crede sulla parola, potesse vivere
l'emozione di quando la tua squadra arriva allo scudetto,
allora sarei davvero felice. So che mi capisci.
Complimenti per il tuo lavoro. (da Serafino Pisanu)
Risposta
di Beppe Severgnini:
Grazie
Serafino. Il prossimo libro esce in giugno, e non riguarda
l'Inter: ma non escludo di tornare sull'argomento. Ho già
pronto il titolo: «Interismi ed entusiasmi», oppure «Tripli
interismi» (con un salto mortale tipo Martins in copertina).
In altre parole: non dipende da me, ma dall'Inter. |
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Inter di Mancini - ITALIANS
- Sabato, 13 novembre 2004 |
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L'Inter è l'unica squadra
dell'universo capace di trasformare l'imbattibilità in un
dramma. Ammettiamolo: ci vuole del genio. Altro che «morbo
nello spogliatoio», come dice il vice-allenatore. Questa è
arte, e rarefatta follia: quella che rende noi interisti
ammirevoli, e moltiplica la leggenda. Una follia che avrebbe
ispirato Italo Calvino. Ma il Barone Rampante, quello che
viveva sugli alberi, era prevedibile come un contabile,
rispetto alla F.C. Internazionale. Meglio il Visconte
Dimezzato (Medardo, visconte di Terralba, diviso in due metà
perfettamente simmetriche da una palla di cannone). Sembra
una buona allegoria dei pareggi che ci perseguitano. Nove su
undici partite, due sole vittorie, nessuna sconfitta, la
classifica che sappiamo. Guardate che quella
dell'imbattibilità tragica è davvero stupenda: non riesco a
immaginare altre squadre al mondo che riescano a inventarsi
qualcosa del genere. Sette rimonte subite in campionato:
credo che ogni interista, in questi giorni, stia cercando di
mettere ordine tra i suoi sentimenti. Vince la delusione,
seguita dallo stupore e dalla rabbia? O è più lo stupore,
seguito dalla rabbia e dalla delusione? Io scelgo quest'ordine:
stupore (assoluto), delusione (solita), rabbia (attenuata
dall'abitudine).
Scrivo da Atlanta - mattino umido, cielo grigio come l'umore
di Mancini - dopo due settimane di viaggio negli Stati
Uniti. Dovunque - negli aeroporti e per strada, da Miami a
San Francisco - trovo tifosi nerazzurri. Certo: ricordano
Ronaldo e amano Adriano. Citano i Red Sox di Boston,
vincitori dopo 86 anni, e chiedono quando toccherà a noi
(risposta: boh). Si riuniscono carbonari nei bar per vedere
le partite, come raccontava Gianni Riotta sulla "Gazzetta".
Ma, sotto sotto, anche gli interisti d'America sembrano
consapevoli d'appartenere a una specie protetta: quella
dell'impresa impossibile (anzi, visto che sono qui: Mission
Impossible). In patria - lo so - non è diverso. A "Italians"
che non è una rubrica sportiva, ma ogni tanto accoglie cuori
infranti nerazzurri - è arrivata questa email, firmata
Riccardo Bullio (r.bullio@tin.it): «STATISTICA INTER
2004-2005 - CONSIDERANDO LA ROSA AMPIA, L'INCIDENZA DELLE
SQUALIFICHE, LA MEDIA PONDERATA DI INFORTUNATI E LE NUMEROSE
COMPETIZIONI ALLE QUALI PRENDIAMO PARTE, SI DETERMINA CHE
SONO ANCORA A DISPOSIZIONE DEL TECNICO CIRCA 431 FORMAZIONI
INEDITE». Ebbene: questa non è la solita barzelletta
riciclata. Questa è autoironia raffinata, degna di una
tifoseria letteraria, consapevole dell'imperfezione del
mondo. Avere Adriano capocannoniere ed essere quasi doppiati
dalla Juve. Ci vuole del genio, credetemi.
Scrivere queste cose non è un'ennesima dimostrazione del
masochismo interista: è semplicemente una tecnica di
sopravvivenza (sportiva). Notate che non esprimo giudizi
sulla campagna-acquisti o sulla conduzione di Bobby Mancini:
non ho partecipato alle sviolinate estive, evito di suonare
oggi i tamburi di guerra. Mi limito a osservare da lontano,
fedele e ottimista come un vecchio bolscevico.
Bene, basta così. Domenica c'è il Cagliari, pari punti con
noi. Se dovessimo vincere ci sarà qualcuno che, sotto sotto,
si dispiacerà: il decimo pareggio o la prima sconfitta
sarebbero esiti più estrosi. Ma la maggioranza di noi dice:
grazie, anche per quest'anno abbiamo dato. Adesso vediamo di
portare a casa i tre punti. Sono meno artistici, ma ci
servono |
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Articolo pubblicato dopo la
sconfitta con l'Arsenal - Novembre
2003 |
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"Nessuna squadra sa fare
altrettanto male ai propri tifosi. Non è crudeltà: è
interismo allo stato puro, una categoria filosofica ancora
poco studiata. Pensateci: una normale sconfitta trasformata
in una leggendaria disfatta in quattro minuti, per di più in
una lugubre serata di novembre, per di più col solito Vieri
immusonito, per di più con la Juventus alle porte, per di
più dopo aver fatto dieci punti in quattro partite di
campionato. Ma questa è l'Inter, l'unica squadra che, come
Matrix, ha creato un universo parallelo dove la gente fa
harakiri, si rialza, sorride, poi si infilza di nuovo e
stramazza al suolo.
Voi penserete, a questo
punto, che io commenti la partita: non posso. Per la prima
volta, martedì sera, sono uscito a cena durante un incontro
di coppa dell'Inter. Motivo: premonizione. Sì, perchè gli
interisti ormai hanno un radar che l'aereo invisibile
Stealth se li sogna. Quando abbiamo visto Ronaldo ai
mondiali col perizoma di capelli in testa, l'anno scorso,
abbiamo capito: guai in vista. Quando abbiamo sentito, in
settimana, quell'arietta euforica dopo il cappotto alla
Reggina - che, con tutta la simpatia, non è il Real Madrid -
abbiamo pensato: ahi. Ma temevamo una puntura, non una
randellata così.
Qual'è il problema? Se lo
sapessi, mi candiderei come psicoanalista ufficiale della
società ( a proposito, ce n'è uno? Se non c'è, trovatelo
!). Non penso - come giurano i soliti gentiluomini,
specialisti nello scalciare l'uomo a terra - che dipenda dal
presidente Moratti. Non ho mai creduto - datemene atto -
che dipendesse solo dall'allenatore. Probabilmente manca un
uomo in campo che impedisca agli altri di perdere la testa
in certe situazioni (un Ferrara, un Maldini, un Totti). Gli
unici candidati sono Javier Zanetti, ma è troppo buono. E
Bobo Vieri, ma è troppo occupato a tenere il broncio.
Va be', è fatta. Alberto
Zaccheroni, che è bravo e serio, dice: bisogna andare avanti
! Io rispondo: bella scoperta, cosa vogliamo fare, andare
indietro? Inventarci una sorta di rewind in cui riviviamo la
partita di martedì, e poi quella del derby col Milan, e poi
una serata a Barcellona, e poi quella partita al Delle Alpi,
e magari una certa partita con la Lazio ? Basta: ormai la
nostra faccia somiglia all' Urlo di Munch. Andate a vederlo
quel quadro e capirete.
I non-interisti tra i
lettori diranno: ma cambiate squadra ! Impossibile, ci piace
questa. Ci regala emozioni uniche, che vanno dall'angoscia
all'estasi, passando per la preoccupazione e la serenità. A
proposito di serenità: se riuscisse a durare un'intera
settimana, non sarebbe male." |
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Già rimpiango Cuper,
dal "Corriere della Sera", 20 ottobre 2003 |
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Cuper va, viva Cuper. Sarà che la notizia arriva mentre sono
in Brasile, e la distanza rende sentimentali, ma confesso: è
come se partisse un parente. Uno zio strano, di quelli che
ti fanno arrabbiare, e non capisci dove diavolo vadano a
prendere certe idee o certe pettinature: eppure gli vuoi
bene. L'Inter di questi anni è stata la sua faccia
argentina. Quell'impasto di tristezza e orgoglio, quello
sguardo da marinaio che aspetta il prossimo imbarco seduto
sopra il suo baule, e continua a sognare isole che non ci
sono. Epilogo inevitabile? Probabilmente. Buona
sostituzione? Certamente. Benvenuto Zaccheroni, di cui sono
un sostenitore da tempi non sospetti. Una volta mi ha
raccontato d'essere cresciuto in una famiglia interista
dentro la "Pensione Ambrosiana" di Cesenatico. A un tipo con
un curriculum del genere si perdona tutto: un'orrenda
domenica del 2002 (quand'era allenatore della Lazio) e un
seccante scudetto nel 1999 (quando allenava il Milan). Ma è
bene che Zac lo sappia: sostituisce un monumento. Non date
retta a Ronaldo, che ha perso un'altra buona occasione per
star zitto (non è mai stato forte di testa, si sa). Cuper è
stato, con Simoni, un allenatore che ha voluto bene all'Inter,
e noi interisti abbiamo voluto bene a loro. Da troppo tempo
non vinciamo, è vero, come i Boston Red Sox e i Chicago Cubs
nel baseball. Ma come quelle due squadre, l'Inter è
amata, seguita, stimata: un miracolo letterario. Roba capace
di mandarti in estasi e in bestia a distanza di mezz'ora:
come l'Italia, in fondo.
Di questo romanzo nerazzurro, Hector Cuper è stato il
protagonista. Un protagonista imperfetto, ma capace di
occhiate transatlantiche e silenzi loquaci. Una volta l'ho
paragonato a un monaco medioevale, una sorta di Guglielmo da
Baskerville nerazzurro (il novizio Emre, naturalmente, è
Adso da Melk). Forse perché l'Inter è un'idea
cattolica: caduta, pentimento, assoluzione, sollievo,
estasi, nuova caduta (la Juve è protestante: la serietà, il
lavoro premiato, la scarsa sensualità. Il Milan è metodista:
resta da capire qual è il metodo). Con Cuper se ne va un
uomo complicato, un tipo di difficile interpretazione. La
prima volta che ci siamo incontrati invece di rispondere al
mio «Buongiorno», mi ha chiesto a bruciapelo: «I giornalisti
possono essere obiettivi?». Gli ho risposto di non
preoccuparsi: con l'Inter, non ci provavo nemmeno.
Ma la sua intensità mi ha colpito. Uno come lui non poteva
andarsene in maniera normale. Doveva sfiorare il cielo (Highbury,
tre a zero all'Arsenal) e precipitare in una serata
bresciana, come un angelo scalognato. Se il calcio è la
fantasticheria degli adulti (non l'unica), Hector Cuper ha
fornito spunti a volontà. Il poeta, lo psicanalista e il
boia che si nascondono in ogni tifoso hanno potuto
divertirsi. Mi ha scritto un amico interista qualche ora fa:
«Adesso possiamo anche andare in B, ma senza le idiozie di
quel mulo. Ha fatto andare via Ronaldo, ha cacciato Crespo;
ha umiliato Recoba; ha liquidato Dalmat. Alla prima
occasione tiene fuori Cannavaro; non mette dentro Martins
nelle partite dove può dare il meglio; vuole le ali e non le
fa giocare; considera Helveg il salvatore della patria;
scarica Di Biagio come un ferrovecchio, brucia Pasquale.
Potrei continuare, ma adesso vado a ubriacarmi d'acqua
minerale». Si potrebbe obiettare che Ronaldo e Crespo se ne
sono andati da soli; e dove sono finiti Dalmat e Recoba
bisognerebbe chiederlo a loro. Ma non è questo il punto. Il
punto è che Cuper provoca passioni violente, e le regge. Se
i laziali se la prendessero allo stesso modo con Mancini,
avrebbero l'impressione di commettere un infanticidio.
Lo scrivo e passo oltre, perché oggi lo diranno in tanti: il
calcio italiano perde qualcosa. Non sono molti i personaggi
che riescono a farsi ricordare per quello che sognano, e non
per quello che gridano: Hector Cuper era uno di questi. La
sua avventura professionale da Valencia a Milano lo ha
portato sotto la vetta del calcio europeo; e dev'essere
dura, scendendo, vedere qualcun altro che pianta la
bandiera. Non so quanta responsabilità abbia Moratti, quanta
i giocatori e quanta Cuper: ma capisco che non potendo
licenziare un'intera squadra e chi la paga, in certe
occasioni tocchi all'allenatore, che è pagato (bene) per
prendersi questi rischi. Però, ripeto: mi dispiace. Avrei
voluto vedere Fratello Ettore il giorno in cui vinceva
qualcosa. Avrebbe rifatto la faccia che aveva uscendo dallo
stadio dell'Arsenal: una gioia incredula e dolente, più da
filosofo che da condottiero. Neanche il successore - devo
dire - ha l'aria militaresca di Capello o Lippi, il Donald
Rumsfeld del Delle Alpi. Alberto Zaccheroni rientra nella
categoria degli allenatori-poeti. Ha conosciuto
l'irriconoscenza umana, ed è capace di venire al Salone del
libro di Torino e ascoltare per due ore un giornalista che
gli spiega cose che sa già (a proposito: grazie). Aspettando
un incarico, Zac ha accettato d'occuparsi dell'Osvaldo
Soriano Football Club, la scalcinato, romanticissima squadra
nazionale degli scrittori. C'è un po' di Argentina anche in
Romagna, quindi; e va bene. L'Inter con lui
vincerà? Me lo auguro, e so che sarà bellissimo. Ma tutto è
(ri)cominciato con Cuper. D'accordo: forse ha sbagliato
schemi e cambi; probabilmente non ha centrato gli acquisti e
le cessioni; quasi certamente ha trasmesso il suo nervosismo
febbrile all'Inter, che non ne aveva bisogno. Ma,
come mi hanno detto molti giocatori, con lui l'Inter
ha smesso d'essere un pollaio, ed è diventata una squadra.
Diceva il gaucho Martin Fierro, suo connazionale: «Más que
el sable y que la lanza / suele servir la confianza / que el
hombre tiene en sí mismo» . «Più che la sciabola e la lancia
/ la fiducia suol valere / che in sé l'uomo sa d'avere».
Quindi coraggio, don Hector, e buon viaggio. Gli interisti
non dimenticano. |
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INTERdetti - da Italians di Martedì, 7 ottobre 2003 |
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Ho sempre difeso Cuper: ma ora non
me la sento. Sono moralmente col terzo anello rosso
centrale: la squadra che ho visto domenica sera era
agghiacciante. Avere le ali (Kily, Van der Meyde) e tirarle
fuori per inserire due terzini. Lasciare il povero Adani
solo contro il «pesce veloce» Sheva. Avere Martins (che nel
primo tempo avrebbe avuto spazio) e metterlo dentro nel
secondo tempo (gran gol, comunque). Sfiancare il povero Emre.
Non dare un pallone decente a Vieri. Eccetera. Farsi mettere
sotto dal Milan - che continuo a considerare una squadra
normale e battibile - sta diventando un'abitudine. E non mi
piace proprio per niente. I figli cominciano a vacillare.
Severgnini Jr. ieri mi ha chiesto se lo porto a San Siro per Inter-Roma, e ho il sospetto che stavolta non me
l'abbia chiesto per vedere l'Inter...
Dimenticavo. Mi hanno riferito che domenica sera a San Siro
c'era uno striscione che diceva: «Severgnini: scrivi che ci
passa!». Ringrazio commosso. Ma se l'Inter va
avanti così mollo la scrittura, e mi do al gospel. |
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Ventisette motivi per cui
dobbiamo accettare il Milan - da Sportweek,
Sabato, 7 giugno 2003 |
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1. Perché se non l'accettiamo, cosa cambia?
2. Perché ha aiutato gli juventini a capire come ci sentiamo
a volte noi interisti
3. Perché con sei coppe può aprire una salumeria
4. Perché a Manchester ha vinto il calcio italiano
(onestamente: m'importa poco, ma come facevo a non
scriverlo?)
5. Perché i tifosi rossoneri sono stati ammirevoli. Quel
Trofeo Berlusconi International sembrava una finale di
Champions League!
6. Perché quegli ammirevoli tifosi hanno la memoria corta.
Un mese fa dicevano che Ancelotti era «un perdente» e Sheva
«un giocatore finito». E noi a dirglielo, che non era
vero...
7. Perché il Milan ha conquistato la Champions vincendo solo
una delle ultime cinque partite (con l'Ajax, all'ultimo
minuto). E non s'era mai visto nessuno tanto felice dopo
quattro pareggi
8. Perché se l'Inter è Paperino (simpatico,
misantropo, un po' matto), la Juve è Gastone (bello, ricco,
fortunato) e il Milan è Paperoga (rosso, nero, casinista),
il finale di questa storia sarebbe piaciuto a Walt Disney
9. Perché quest'anno era destino che noi interisti dovessimo
ascoltare i clacson e i cori di tutti quanti, mentre
cercavamo di addormentarci
10. Perché Gattuso, che contro l'Inter sembrava
Beckam, contro la Juve pareva Nedved. Cosa gli hanno fatto?
Se è merito della barbetta, la facciamo crescere anche a
Guly
11. Perché gli amici milanisti di sinistra vedono Berlusconi
che gonfia il petto e hanno i sensi di colpa
12. Perché gli amici milanisti di destra temono ormai di
appartenergli
13. Perché Galliani a Manchester era felice. Ha visto cinque
rigori per il Milan nella stessa partita. E nessuno
protestava!
14. Perché se uno come Ferruccio de Bortoli è milanista, il
Milan non può essere poi tanto male
15. Perché Demetrio Albertini, nel giorno della festa, non
l'ha ricordato nessuno. Lo faccio io
16. Perché il Milan ha tenuto allegro l'avvocato Prisco
17. Perché se Mister B. si portasse qualche Ancelotti al
governo (bravo, serio, pacato) sarebbe meglio per tutti
18. Perché il mio barista preferito (Dario) e il mio
barbiere di riferimento (Gigi) sono così felici
19. Perché se vincevano soltanto la Coppa Italia, i miei
amici Michele e Daniele diventano folli
20. Perché il Milan non farà i preliminari di Champions
League. Per fortuna: altrimenti i giornali grondavano
rossonero già a metà luglio
21. Perché Maldini è slanciato, per essere un ragazzo
quadrato
22. Perché Nesta sarebbe stato così bene in nerazzurro
23. Perché Rivera è la vocina della coscienza rossonera, e
non si può spegnere
24. Perché chiunque abbia amato Pierino Prati, Squalo Jordan,
Luther Blisset e lo sciagurato Egidio ha la mia simpatia
25. Perché Rivaldo è sempre meno Riva e sempre più Aldo
(amico di Giovanni & Giacomo). Ma ha un faccino così triste
che cominciamo a volergli bene
26. Perché Diegone Abatantuono ha diritto a qualche piccola
gioia
27. Perché Teo Teocoli ha appena pubblicato «Che libidine, è
pieno! Il mio calcio rossonero», edito da Rizzoli. E io
voglio bene al mio editore. Sigh. |
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"Ventisette
motivi per cui un interista deve accettare la Juventus" - da Sportweek
/ Gazzetta dello Sport (e Italians) 24-05-03 |
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1 Perché c'è.
2 Perché, se non ci fosse, bisognerebbe inventarla.
Altrimenti chi potremmo invidiare/detestare/sospettare (a
seconda delle circostanze)?
3 Perché ha conquistato 27 scudetti, molti dei quali
meritatamente.
4 Perché con il Real Madrid, a Torino, ha giocato una
partita superba (nerazzurro sì, cieco no).
5 Perché quelle due Coppe Campioni sono state così
malinconiche (1985 e 1996, entrambe dal dischetto del
rigore) che adesso potrebbe anche vincere una come si deve.
6 Perché in tempi magri per la bilancia commerciale italiana
abbiamo esportato a Manchester (28 maggio) il Trofeo
Berlusconi.
7 Perché ultimamente il Milan ci fa innervosire di più.
8 Perché, senza la Juventus, ogni saga calcistico-letteraria
risulterebbe incompleta. Ricapitolando. La Juve è Voldemort
(l'Inter Harry Potter, il Milan Draco Malfoy). La
Juve è Sauron (l'Inter Frodo Baggins, il Milan
l'elfo Legolas). La Juve è il Lato Oscuro della Forza (l'Inter
Obi-Wan Kenobi, il Milan Joda, che deve avere l'età di
Rivaldo).
9 Perché indossa una divisa carceraria, ma lo fa con
noncuranza.
10 Perché almeno gli amici granata hanno altro cui pensare.
11 Perché Luciano Moggi quando dice la verità si arrabbia, e
quando non la dice ci arrabbiamo noi.
12 Perché un tipo così alla Fiat forse non farebbe male.
13 Perché Marcello Lippi è un attore di Hollywood, anche se
non fa cinema e non sta a Hollywood (lo vedo in una commedia
romantica, come padre della sposa. O in un western, come
vice-sceriffo).
14 Perché Bobby Bettega non vuol risultare simpatico, e ci
riesce.
15 Perché m'aspetto che prima o poi un giovane arbitro, al
termine della partita, vada a chiedere l'autografo a Del
Piero e Nedved.
16 Perché, insieme al cioccolato e a Macario, la Juve è una
delle poche cose che riesce a far sorridere certi
piemontesi.
17 Perché ha riempito l'Italia di tifosi (dieci milioni!).
Dicono che ce ne sia qualcuno anche a Torino, ma la notizia
è in attesa di conferma.
18 Perché una squadra che riesce a percepire il calore del
pubblico fin dai remoti spalti del Delle Alpi merita
rispetto.
19 Perché gli juventini, vincendo molto, soffrono di più per
le sconfitte (tesi di Sandro Veronesi, "Corriere della Sera"
11 maggio 2003). Noi interisti, invece, abbiamo un certo
allenamento.
20 Perché Del Piero fa la pubblicità, ma non si spoglia
negli ascensori.
21 Perché i giocatori sono bravi ragazzi e si danno da fare
per i bambini negli ospedali (Gaslini di Genova, e non
solo).
22 Perché Cuccureddu aveva un nome interessante.
23 Perché Zidane e Platini li avrei voluti all'Inter
(Maresca e Zalayeta, invece, glieli lascio).
24 Perché Scirea era Scirea.
25 Perché, in maglia azzurra, i bianconeri ogni tanto
combinano pasticci (Del Piero, Francia 2000), ma spesso si
danno da fare anche per noi (Argentina 1978, Spagna 1982).
26 Perché noi abbiamo ceduto Roberto Carlos. Ma loro hanno
venduto Thierry Henry e Bobo Vieri.
27 Perché il mio amico Mughini, in quarta di copertina del
suo "Un sogno chiamato Juventus" (Mondadori), scrive: "Le
strade della juventinità sono infinite." Certo, Giampiero.
E' per questo che, dopo certe partite, ci arrabbiamo un po'.
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35 motivi per cui amo l'Inter, e ho scritto
un altro libro nerazzurro
- dal
Sito Ufficiale di Beppe Severgnini
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Perché mio figlio ha guardato con me la finale di Champions League in TV, ma non intende cambiare la
maglia di Emre con quella di Pirlo. E se i bambini non
mollano mai, per quale motivo dovremmo farlo noi?
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Perché il primo "Interismi" mi ha dato grandi
soddisfazioni (sedici edizioni, ottantamila copie). Ma
avrei altre cose da dire.
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Perché credo che la stagione 2002/2003 vada comunque
ricordata.
Perché penso che alcune cose vadano dette, in vista
della stagione che comincia (anno III dell'era Cuper).
Perchè quest'anno o la va o la spacca
Perché chi non conosce la sua storia è condannato a
riviverla (non so chi l'abbia detto: Hume, Hegel o
Helenio Herrera?).
Perché volevo ringraziare Babbo Moratti, e invitarlo a
diffidare degli adulatori e dei disfattisti (sono gli
stessi, cambiano solo trucco).
Perchè Hobbit Emre meritava almeno una quarta di
copertina.
Perché le imprese del Capitano, di Bobo, del Chino
(quando ha voglia), di Ramiro Cordoba e di Martello
Zanetti non vanno dimenticate.
Perchè San Toldo è un mio lettore.
Perché i nostri cuori non sono in vendita (qualcuno
informi Abramovich).
Perchè la Juventus va esorcizzata in qualche modo.
Perchè l'Inter è fascinosa
almeno quanto il Milan è fortunato.
Perché ormai siamo
ufficialmente un fenomeno letterario.
Perché Cuper è una forma
di arte astratta. Se si vuole capirlo, occorre
studiarlo.
Perché dopo che l'abbiamo
studiato, non sempre lo capiamo. Ma va bene così.
Perché Ronaldo il Coniglio
Mannaro è sempre lì che volteggia su San Siro. (Dite che
i conigli non volteggiano? Lui, sì).
Perché gli interisti sono
romantici bellicosi.
Perché dovevo dare agli
avversari intelligenti qualcosa su cui meditare. E agli
altri qualcosa per cui arrabbiarsi.
Perchè volevo regalare
alle coppie miste (lui nerazzurro, lei bianconera; lei
romanista, lui interista) un'occasione per discutere e
poi far pace.
Perché lo so, lettore milanista: cercavi un'idea-regalo
per il collega nerazzurro.
Perché l'Inter è una squadra sexy (e, come sanno molte
lettrici, questa non è una condizione facile).
Perché mi piace avere in giro per casa un'altra
copertina nerazzurra.
Perché tifare Inter significa entrare in un labirinto. E
per arrivare in fondo serve una mappa.
Perchè noi siamo in cielo (azzurro) o nel buio (nero);
siamo a Highbury o al 5 maggio. Non ci sono vie di
mezzo.
Perché se pensate che gli interisti rinuncino, vi
sbagliate di grosso.
Perché, dopo lo sciagurato doppio pareggio di Champions
League, me l'ero ripromesso. "E una promessa è una
promessa" (Tom Hanks in "Forrest Gump").
Perché, visto che siamo in tema di citazioni
cinematografiche, "ogni limite ha la sua pazienza" (Totò
in "Totò a colori").
Perché "l'attesa attenua le passioni mediocri e aumenta
le grandi" (Bacio Perugina).
Perché mi piace scrivere di calcio, e spero che a voi
piaccia leggerne.
Perchè l'Inter è croccante e ha un buon sapore.
Perché negli ultimi quindici mesi ho incontrato tanta
gente che mi ha detto: "Grazie: Interismi è stato un
ricostituente". E ci voleva seconda dose.
Perché volevo pubblicare le opinioni magistrali di chi
mi ha scritto (l'Inter è un covo di filosofi).
Perché questa squadra ogni tanto ci fa arrabbiare, ma
un'altra non la vogliamo.
Perché un terzo "Interismi" non lo scrivo. A meno che...
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Recensione del libro di
Beppe
Severgnini "Altri interismi", (del 2003), pubblicata sul sito
www.internetbookshop.it
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"Interismi"
nacque all'indomani del terribile 5 maggio 2002, data in cui
l'Inter cedette all'Olimpico, sconfitta dalla Lazio, uno
scudetto già vinto alla sua rivale di sempre: la Juventus.
Un libro in cui rabbia, dolore, amore, tristezza, rimpianti
e, nonostante tutto, ottimismo si mescolano a quel sense of
humour che ha reso celebre Severgnini. Un libro i cui
protagonisti sono i giocatori dell'Inter, i loro dirigenti,
i loro avversari, ma soprattutto i suoi tifosi: tifosi per i
quali basta sostituire una lettera - la "enne" - per passare
dall'interismo all'isterismo. In questo volume il
giornalista compie un nuovo viaggio nel labirinto
neroazzurro, perché, come egli stesso sostiene, la stagione
appena passata va ricordata, almeno per non ripeterne gli
errori. Leggiamo: «Caro Massimo Moratti, l'anno scorso, dopo
aver regalato lo scudetto alla Juventus, ogni interista di
buon senso – può sembrare impossibile ma ce ne sono – ha
pensato: cosa può esserci di più doloroso? Ora lo sappiamo:
consegnare un altro scudetto alla Juve e la Champions League
al Milan». Incomincia così il secondo libro dedicato da
Beppe Severgnini alla sua grande passione per la squadra del
cuore: l’Inter. Dopo il successo del precedente Interismi,
lo scrittore giornalista non ha resistito alla tentazione di
tornare a scrivere di calcio, per consolarsi e consolare,
per continuare a sperare. «Sa perché ho deciso di proseguire
il racconto? – continua il dialogo immaginario tra l'autore
e il Presidente interista – Perché credo che la stagione
appena conclusa vada ricordata: se non altro per non
ripeterne gli errori. E penso che alcune cose vadano dette,
in vista della stagione che comincia…». Ecco allora
susseguirsi un'animata serie di resoconti, testimonianze e
riflessioni sul variegato mondo neroazzurro. La penna acuta
e ironica di Beppe Severgnini non risparmia niente e
nessuno. Dalle frecciatine nei confronti dei cugini
rossoneri alla galante avversità riservata ai bianconeri,
"nemici" di sempre; dai ricordi dei campioni del passato
alle divagazioni sui calciatori di oggi: ce n’è davvero per
tutti, interisti e non. Come non infervorarsi di fronte
all’accorato sfogo dell'autore, profondamente ferito dal
tradimento del coniglio mannaro Ronaldo? Come rimanere
insensibili leggendo le lettere dei tifosi riportate al
termine di ogni capitolo, piccole perle di Interosofia? E
che dire delle «INTERpretazioni» in chiave calcistica degli
incipit dei grandi romanzi (perché, si sa, nel mondo del
pallone «è tutta letteratura»)? Per non parlare dell’elenco
delle sorprendenti patologie che colpiscono il vero tifoso
(la «Sindrome di Morfeo» è un esempio per tutti). Con Altri
interismi Severgnini si riconferma non solo abilissimo
giocoliere della parola ma anche disincantato e fine
indagatore della realtà; capace di stuzzicare la fantasia
dei lettori, a prescindere dalla loro fede calcistica, e di
risollevare l’entusiasmo dei tifosi neroazzurrri, anche
quelli più scettici e disillusi. D'altronde il vero
interista è ormai consapevole del suo destino: «ormai
l'abbiamo capito. Scegliere l'Inter è come entrare in un
labirinto. Un favoloso dedalo nerazzurro, pieno di sorprese
a ogni svolta. Al centro c'è l'obiettivo, il premio, la
gioia che attendiamo. Il problema è: come arrivarci?».
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Cari
tifosi, pensate ai cannonieri
dimenticati, ai re per un pomeriggio, ai portieri di
provincia... da Sportweek - Sabato, 2 novembre 2002 |
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Sono stato
ospite di Giorgio Porrà a "Lo sciagurato Egidio", un
intelligente programma sportivo di Tele+. Qualcuno,
nell'occasione, mi ha fatto notare che ho scritto un libro
sull'Inter dove non viene citato né Baggio né Bergomi (quest'ultimo,
presente in trasmissione). Ho risposto che Gresko è nominato
dodici volte: le citazioni, di per sè, non sono un
complimento. Però, lo ammetto. Giocatori come Baggio e
Bergomi - il primo lo conosco, il secondo l'ho conosciuto
chez Porrà - li ho rimossi. Strano. Sono stati campioni
dell'Inter, sono persone interessanti. E diciamolo: i
giocatori interisti di cui dimenticarsi sono altri. Non B&B.
Perché, allora?
Ci ho pensato, e sono arrivato a questa conclusione: Roberto
Baggio e Beppe Bergomi sono i re del passato prossimo. Il
passato prossimo piace alla borghesia - di tutti i tempi, in
ogni Paese - ma non piace ai tifosi. I ricordi sono troppo
freschi, non si possono dipingere coi pastelli del ricordo.
Le insoddisfazioni recenti. I sogni vivi ma confusi, come
capita al mattino appena svegli. Solo gli anni consentono di
metabolizzare vicende e personaggi. Prendiamo il grande
Boninsegna, quello che Gianni Brera chiamava Nano Bagonghi
(sebbene fosse più alto di lui): ormai fa parte dell'epos
nerazzurro.
Abbiamo tutti negli occhi quel gol in mezza rovesciata al
Milan (cross di Facchetti, botta di Bonimba, esplode san
Siro: 19 marzo 1972, Milan-Inter 1 a 1). Tutti sappiamo che
è un CCCCC (Che Cavolata Cedere un Campione Così!), anche se
non è l'unico: Roberto Carlos e Simeone (ancora Inter),
Edgar Davids (Milan), Pippo Inzaghi e Thierry Henry (Juve).
Tutti gli interisti ricordano volentieri Boninsegna, e lo
ascoltano quando parla (poco: bravo Roberto).
Credo che questo discorso valga per qualsiasi squadra. I
ricordi hanno bisogno di tempo, per mettere radici e uscire
dalla palude delle aspettative deluse. I re del passato
prossimo vengono celebrati con entusiasmo solo quando hanno
vinto molto. Allora, la musica cambia. Con Diego Armando
Maradona, il Napoli ha conquistato due scudetti, una coppa
Uefa e una coppa Italia (spero di non sbagliare): è chiaro
che il Diego può farne di cotte e di crude - anzi: ne ha
fatte, e ne fa - e resta indimenticabile. Lo stesso accade
in Argentina, dove sono appena stato. Con Maradona la
Selecion vinceva, e El Diego laggiù è un santino, come
Evita, Che Guevara e Gardel.
Monzon e Batistuta sono un gradino sotto. Caniggia, eroe
capelluto di un mondiale perduto (Italia 90) non lo ricorda
più nessuno.
Poveri re del passato prossimo, dunque. Non tutti hanno
trovato nuove soddisfazioni (come Beppe Bergomi, equilibrato
commentatore televisivo; o Roby Baggio che ancora gioca,
guardato con tenerezza da Mazzone e dalle bresciane). Non
tutti sono stati campioni: magari solo buoni giocatori. A
costoro - ai principi per un pomeriggio, alle sorprese di un
girone d'andata, ai cannonieri dimenticati, ai portieri
segnati dai calci in provincia - non regaliamo nemmeno un
ricordo, che in fondo è gratis. Ogni tanto li vedo, quei
personaggi, ospiti un po' impacciati in qualche trasmissione
TV. Vorrei abbracciarli, ma non lo faccio. C'è il vetro, per
fortuna, a proteggere le loro vite normali dall'entusiasmo
sospetto di chi deve farsi perdonare un'amnesia. |
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A
noi piace Zanetti - ITALIANS -
Venerdì, 18 ottobre 2002 |
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... Sono a Buenos Aires, e oggi ho
passato mezza giornata nella fondazione "Pupi" (Por Un
Piberio Integrado), che accoglie bambini di Buenos Aires
bisognosi d'aiuto. E' stata creata da Javier Zanetti con sua
moglia Paula, e viene gestita dai genitori di lei. Ecco:
Javi Zanetti è il giocatore che piace a noi interisti: per
come gioca in campo, e per come si comporta fuori. ... |
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Articolo tratto da Italians di Venerdì,
25 ottobre 2002 |
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Io stesso ho deprecato i violenti,
e discusso i compensi (eccessivi, rispetto ai bilanci delle
società). Questo non mi impedisce però di vedere nel calcio
l'aspetto rilassante/divertente. E per divertirmi, io non
posso, né voglio, essere imparziale. Il calcio non è la
politica. E' un romanzo popolare a puntate, coi suoi
personaggi e le sue trame. Quando parlo dell'Inter
io divento partigiano, fazioso, unilaterale e ossessivo
(dico, hai visto cos'abbiamo combinato a Lione? Giocheremo
mai UNA partita normale?). La mia regola è semplice, ed è la
stessa che avrei scritto sui muri da bambino (se fossi stato
tipo da scrivere sui muri): viva l'Inter, abbasso
la Juventus! Questo vale anche quando la Juve gioca meglio,
e non ruba niente (per esempio, sabato scorso). Certo: se mi
chiedi di dirti se un rigore c'era o non c'era, ti rispondo
onestamente (Inter-Juve: non c'era. Coco ha toccato
Camoranesi, ma era involontario). Così, sono disposto ad
ammettere che il gol in mischia di Vieroldo (Vieri+Toldo)
poteva essere annullato (in quell'area sono stati commessi
almeno otto falli, quattro per parte). Ma che gioia
raggiungere la Juve a tempo scaduto, per il secondo anno di
fila. L'avvocato Prisco, sono sicuro, è lì che balla il
tip-tap sulle nuvole. Ecco, Balistreri. Più in là non posso
andare. La serenità di giudizio la riservo ai drammi del
mondo, che non mancano. Quando si tratta di calcio, torno
bambino. Un bambino educato, non violento e occasionalmente
ironico. Ma pur sempre un bambino. E se qualcuno mi dice che
non è consentito, non discuto: faccio i capricci.
Chiaro?Imperterrito e interista |
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"Anche
in estate si parla solo di Inter", un
articolo del 3 Agosto 2002,
pubblicato su Italians
e su Sportsweek.
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Perdonate se chiudo per
la pausa estiva (e festeggio il primo compleanno di questa
rubrica) parlando di Inter. Come alcuni di voi sanno, è
la mia squadra. Sì, sono uno di quelli: un malinconico,
un testardo, un esteta, un poeta, un pazzo scatenato che
tiene a una squadra i cui attaccanti segnano QUATTORDICI
gol ai Mondiali (Ronaldo 8, Vieri 4, Recoba 1, Emre 1), ma
riesce a perdere lo scudetto con tro una squadra i cui
uomini segnano un gol (Del Piero), per di più non
strettamente necessario. Non era facile, ammettetelo: però
noi ci siamo riusciti. Perché voglio parlarvi di Inter?
Perché il 5 maggio siamo caduti rovinosamente (altro che
Napoleone: nessuno esce di scena come noi), eppure abbiamo
fatto notizia per tutta l'estate. Dei Mondiali, s'è
detto. Ma potremmo aggiungere che gli azzurri, matti
masochisti e sfortunati, avevano qualcosa di neroazzurro,
in Giapporea. E il calciomercato, cos'è stato? Nesta!
Viene all'Inter o non ci viene? Le notizie sportive del
mese di luglio? Ronaldo Recoba e Vieri che si autoriducono
lo stipendio; e quest'ultimo che critica Trapattoni. La
pettinatura più pazzesca? Ronaldo . La fidanzata in
carriera? Quella di Vieri, che esordirà come a
"Controcampo" (forza Elisabetta, non farti
intimidire: ricorda che sei sarda). Potrei andare avanti,
ma ci siamo capiti. L'interismo è dilagante. "We are
the news!", come dico no in Bocconi e nelle radio
private. Non so se vinceremo questo benedetto scudetto, ma
di sicuro potremmo schierare tre attacchi, e sarebbero tra
i cinque più forti della serie A (Vieri Ronaldo Recoba
Kallon Corradi). Tutti i titolari dell'In ter sono
titolari nelle rispettive nazionali (con l'eccezione di
Toldo, che dovrebbe esserlo) Di sicuro abbiamo il
presidente filosoficamente più interessante del
campionato e l'allenatore più misterioso dei Due Mondi
(solo Zeman sapeva produrr e silenzi altrettanto loquaci).
Vedrete se, lasciato il calcio, il grande Hector non
diventerà un monaco, un immobiliarista o un attore di
film polizieschi. Non so come andrà questo nostro
campionato, ma mi sento di escludere che sarà un
campionato normale: non ne ho ancora visto uno, da quando
seguo l'Inter (1963/1964: Coppa dei Campioni, scudetto
scippato dal Bologna). Sono sicuro che faremo una serie di
cose stupende, alcune cose abominevoli, altre
incomprensibili e daremo ampio motivo di discussione a
fidanzate juventine, amici milanisti e taxisti romanisti.
E' un problema? Certo che no. Il calcio è bello perché
è una versione teletrasmessa della commedia umana, con i
commenti sui giornali il giorno prima e i l giorno dopo.
Nessuno si annoierà tifando per (o contro) l'Inter. Non
saremo il sale della terra, ma siamo il pepe del
campionato. Chi saranno i nostri rivali? Vedo bene il
Milan, per cui non ho mai nascosto la mia simpatia
milanese: i ros soneri, con Pantera Seedorf, possono
puntare a un altro dignitoso quarto posto. Il Chievo? Ha
già dato, e poi quest'anno non potrà più fare i
dispetti al Verona Hellas. La Lazio, non saprei. E' la
squadra più stramba in circolazione: potrebb e
ammutinarsi nello spogliatoio oppure trasformare Mancini
in una divinità, portando incenso e mirra alla panchina
(oro, no. Cragnotti deve pensare al bilancio). La Roma?
Con Cafù e Capello farà ottime cose; a patto che
qualcuno trovi l'ant idoto al narcotico che hanno dato i
coreani a Totti. Il Parma? Mi butto: un'altra Coppa Italia
con venti gol di Adriano e quattro autogol di Gresko
(grazie, fratelli di pianura, di esservelo pigliato). Il
Torino? Un epico controclassifica. Il Perugia?
Interessante. Gaucci potrebbe decidere di scendere in
campo come ala destra. E, se il pubblico non lo applaude,
venderà la squadra ai trafficanti di schiavi. Resta la
Juventus, che non è la squadra ma l'Avversario, con la A
maius cola (come Ambizione, Alea e Aiutini). L'ho già
messo per iscritto dentro "Interismi", e lo
ripeto: sono contento che la Juve esista. Il suo oscuro
fascino istituzionale mi attira. Vorrei batterla, ma so
che potrebbe non accadere. La Juventus è l'orco della
fiabe, il Lato Oscuro della Forza (Star Wars), Valdemort
per Harry Potter: guai se non ci fosse. Auguro a Luciano
Moggi di passare una buona estate/annata. E alleni il
ghigno di sbieco: lo adoro. |
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Essere interisti
resta un piacere: ecco il manuale che lo farà capire
anche a Moggi - Sportweek, 1° giugno 2002 |
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Perché un libro sull'Inter?
Me lo sono chiesto anch'io, e provo a rispondere.
1. Perché dobbiamo consolarci.
2. Perché siamo gli unici che pubblicano un libro quando
perdono.
3. Perché un libro dopo lo scudetto era banale.
4. Perché - come ho scritto sul retro di copertina -
"sappiamo di aver scelto un amore difficile: ma questo è il
bello" 5. Perché non sono Sabrina Ferilli e non potevo fare
uno spogliarello.
6. Perché l'avvocato Prisco, dopo le due "interviste
impossibili" uscite sul "Corriere", chiedeva di nuovo la
parola.
7. Perché sono sicuro che Facchetti e Zanetti ne comprano
una copia (un'altra gliela regalo io).
8. Perché volevo raccontare cos'è la passione per una
squadra di calcio: un frullato di attese e ricordi, pezzi
d'infanzia e infantilismi, fissazioni e pretese, euforie,
malinconie e disturbi psicosomatici.
9. Perché amo l'Inter ma non odio nessun'altra
squadra (neppure la Juve, che mi sta solo antipatica. Ma
guai se non ci fosse).
10. Perché, secondo me, il libro lo legge anche Moggi.
11. Perché, considerati i punti 9 e 10, mi auguro che "Interismi.
Il piacere di essere neroazzurri" incuriosisca anche
bianconeri, rossoneri, giallorossi, biancocelesti, granata,
viola, gialloblù, rosaneri, biancorossi, rossoblù,
blucerchiati eccetera.
12. Perché Poborski è la rappresentazione della condizione
umana: è il fato, l'inconveniente, la possibilità, il caso
che si diverte.
13. Perché ho una cagnolina bianconera (Luna, dalmata), e mi
sembrava che la sera del 5 maggio facesse troppo la
spiritosa.
14. Perché a Gioia, Roberta, Enzo e Mister No (compagni
d'ansia a San Siro) avevo fatto una mezza promessa. E a
Susanna Wermelinger (che bel nome da stopper!) una promessa
intera.
15. Perché sono stato incoraggiato da altri interisti
sbandati.
16. Perché finalmente m'è servito il liceo classico.
Prendete Plauto: non sapevo avesse scritto dell'Inter.
Eppure, considerate questo passo dell'"Anfitrione": "Agli
dei è piaciuto far sì che il dolore fosse compagno del
piacere". Non è il campionato 2001-2002?
17. Perché Daniele Folli, noto milanista dell'ufficio stampa
Rizzoli, mi darà una mano nella promozione.
18. Perché Gresko non doveva passarla liscia.
19. Perché mio figlio, classe '92, non dimentichi (ma non
dimenticava lo stesso).
20. Perché volevo pubblicare i racconti magistrali di alcuni
lettori (l'Inter è un covo di poeti).
21. Perché, uscendo da San Siro dopo Inter-Piacenza,
un tipo mai visto mi ha messo una mano sulla spalla e mi ha
detto: "I suoi pezzi sull'Inter sono un
ricostituente"
22. Perché se quel tipo avesse ragione, e una
mia frase - una sola - somigliasse a una punizione di Recoba,
potrei ritirarmi a vita privata.
23. Perché la Nazionale è un'avventura, e l'Inter
un matrimonio.
24. Perché tifare Inter è una forma di allenamento
alla vita. E per allenarsi occorre un manuale, no?
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Recensione del libro di Beppe
Severgnini "Interismi.
Il piacere di
essere nerazzurri", (del 2002) pubblicata sul sito
www.internetbookshop.it
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"Interismi" mescola
entusiasmi recenti e inevitabili memorie, opinioni
fulminanti e citazioni classiche seguite da discussioni
omeriche (se l'Inter è Ettore e la Juve è Achille, il Milan
è Patroclo o Ulisse?). Insieme ai giudizi sulle squadre
rivali e ai ritratti dei giocatori neroazzurri, ci sono le
'interviste impossibili' a Peppino Prisco (che si è
temporaneamente giocato il paradiso coi commenti su
Lazio-Inter). "Interismi" dimostra come la passione sportiva
non debba nutrirsi d'odio e aggressività. Bastano l'affetto,
l'entusiasmo e quell'autoironia sentimentale diventata ormai
il marchio dell'Internazionale Football Club.
“L’Inter – scrive Severgnini - è una forma di allenamento
alla vita. E’ un esercizio di gestione dell’ansia, e un
corso di dolcissima malinconia. E’ un preliminare lungo
anni. E’ il gioco, da grandi, di quelli che da bambini
tenevano ai sudisti o agli indiani.”
Da tali premesse si svolge la divertente, disincantata (ma
sempre appassionata) digressione di Beppe Severgnini sull’interismo,
croce e delizia di milioni di italiani e al tempo stesso
matrice di quella spavalda autoironia che ha fatto diventare
celebre il grande e indimenticabile Peppino Prisco, al quale
l’autore dedica alcune delle migliori pagine di questo
libro. Chi pensasse a un'interpretazione anti-milanista
dell’interismo dovrà ricredersi: è la Juventus la grande
antagonista per Beppe Severgnini, che delinea i termini
della dicotomia . “Ci sono quelli che amano i gatti, Londra
e l’Inter. E quelli a cui piacciono i cani, Parigi e la
Juventus” . Una contrapposizione insanabile come quella tra
“Hegel e Kant, Coppi e Bartali, Fellini e Visconti, USA e
URSS, Apple e Microsoft, Beatles e Rolling Stones, Yin e
Yang, caffè e tè, limone e latte”. Al fiero, anche se a
volte rassegnato, antagonismo con la Juventus, fa da
contraltare il tono sarcastico, ma non privo di manifesta
simpatia, per i cugini rossoneri “che del calcio hanno una
visione epico-umoristica che entusiasma. Voi direte: per
forza, coi presidenti che hanno avuto”. E ancora: “Aver
schierato centravanti come Squalo Jordan e Egidio Calloni
aiuta ad avere una visione ironica delle cose.”
Non andremo oltre per non togliere ulteriore curiosità verso
la lettura di questo libro che infine propone anche una
galleria di personaggi utili alla stesura di un romanzo
sulle vicende neroazzurre, da Moratti (“un poeta simbolista
francese” che “metterebbe Mallarmé in porta, Verlaine e
Rimbaud centrali”) a Recoba (“talmente mancino che tenta di
vendere il piede destro in una pesca di beneficenza”) a
Gresko (“Giovane agente della Spectre in un’avventura
firmata Ian Fleming. Quando non sa cosa fare, si spara in un
piede”) fino a tutti gli altri protagonisti dell’ultimo
sfortunato campionato.
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Recensione del libro di Beppe
Severgnini "Interismi", (2002) pubblicata sul sito
www.beppesevergnini.com |
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"Se avessimo vinto lo
scudetto - scrive Beppe Severgnini - non mi sarei unito alle
celebrazioni con un libro. Avrei festeggiato privatamente con
qualche amico, moglie, figlio e cagnolina dalmata (unica
presenza bianconera in famiglia). Ma abbiamo perso, e dobbiamo
consolarci."
E questo piccolo libro è davvero una gran consolazione.
L'Inter è infatti una squadra fascinosa circondata da tifosi
speciali: l'ammettono
anche gli avversari, che in queste pagine sono trattati con
galanteria.
"L'Inter - sostiene l'autore - è una forma di
allenamento alla vita. E' un esercizio di gestione dell'ansia,
e un corso di dolcissima malinconia. E' un preliminare lungo
anni. E' modo di ricordare che a un bel primo tempo può
seguire un brutto secondo tempo. Ma ci sarà comunque un
secondo tempo, e poi un'altra partita, e dopo l'ultima partita
un nuovo campionato. Non possiamo perderli tutti. Oppure sì,
se ci mettiamo d'impegno. Ma non accadrà, non siamo così
prevedibili, nemmeno nel masochismo. Verrà il nostro momento,
e sarà magnifico."
"Interismi" mescola entusiasmi recenti e inevitabili
memorie, opinioni fulminanti e citazioni classiche seguite da
discussioni omeriche (se
l'Inter è Ettore e la Juve è Achille, il Milan è Patroclo o
Ulisse?).
Insieme ai giudizi sulle squadre rivali e ai ritratti dei
giocatori neroazzurri, ci sono le "interviste
impossibili" a Peppino Prisco (che si è
temporaneamente giocato il paradiso coi commenti su
Lazio-Inter).
"Siamo una squadra di tifosi-filosofi - scrive Severgnini
- convinti che Gresko e Poborski siano la rappresentazione
della condizione umana: sono il fato, l'inconveniente, la
possibilità, il caso che si diverte. Il nostro caso è
cecoslovacco (ve l'ho detto che siamo strani). Ma ce ne siamo
fatti una ragione. Non è vero che amiamo perdere: preferiamo
vincere, che diamine. Ma sappiamo perdere, e abbiamo senso
estetico. Un harakiri fatto bene, in fondo, è meglio di un
harakiri fatto male."
Una squadra che ha tifosi così - voi capite - ha vinto anche
quando perde. Per questo viene stimata dagli avversari, ai
quali consigliamo di
leggere questo libro. "INTERISMI. Il piacere di essere
neroazzurri" dimostra infatti come la passione sportiva
non debba nutrirsi d'odio e aggressività. Bastano l'affetto,
l'entusiasmo e quell' "autoironia sentimentale"
diventata ormai il marchio dell'Internazionale Football Club.
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L'educazione
del piccolo interista - ITALIANS - Lunedì, 6 maggio 2002 |
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Quanti disturbi psicosomatici per
niente. Ansiosi per nove mesi, affranti in un pomeriggio. L'Inter
dovrebbe brevettare questi modi di farsi del male, sempre
diversi e fantasiosi. Perché, ad esempio, non mettere in
commercio una caffettiera "modello Gresko"? Manico
d'acciaio, in modo da ustionarsi ogni mattina. Massimo
Moratti non sia troppo triste. Sappiamo da tempo che tifare Inter è come iscriversi a un corso di malinconia.
Amiamo una squadra di sadici interessanti, che possono
aiutarci nella formazione del carattere. Non del nostro. Gli
adulti sono, in genere, irrecuperabili. Penso al carattere
dei nostri figli. Ai quali non possiamo mostrare una
disperazione diseducativa, ma dobbiamo dire una cosa: il
tifo calcistico pùò servire. E' la prova
generale della vita. E nella vita bisogna saper perdere,
come dicevano Gatto Silvestro e Caterina Caselli (spiegate
ai bambini chi è la Caselli; Silvestro lo conoscono).
Bisogna saper perdere quando non ce l'aspettiamo, perché un
giorno vinceremo quando non ci speriamo più (forse). Occorre ricordare che a
un bel primo tempo può seguire un brutto secondo tempo
(ieri, agghiacciante). Ma ci sarà comunque un secondo tempo,
e poi un'altra partita, e dopo l'ultima partita un nuovo
campionato. Non possiamo perderli tutti. Oppure sì, se ci
mettiamo d'impegno. Questo direi ai piccoli interisti con
gli occhi lucidi. Evitiamo, invece, i luoghi comuni. Non
diciamo che Cuper è "un eterno secondo" (siamo arrivati
terzi). Non descriviamo il pomeriggio di ieri come
"un'altalena di emozioni" (ribatteranno che da quell'altalena
siamo caduti, e abbiamo sbattuto la faccia). Soprattutto,
non diciamo "l'importante è partecipare". Noi dell'Inter
infatti abbiamo partecipato abbastanza, e non ci
dispiacerebbe vincere. Così, tanto per cambiare. Dite ai
piccoli nerazzurri di osservare gli amici juventini: anche
trionfare con stile è difficile, e chi sa farlo va
aprrezzato. Spiegate che, tifando Inter, si sono
scelti una professione complicata. L'interista è esigente,
disincantato, scettico per vocazione. E' un pessimista
ironico. E' convinto che ogni colpo di fortuna verrà pagato,
e per ogni Vieri c'è un Gresko (povero ragazzo:
qualcuno si sta occupando di lui e del suo biglietto per la
Slovacchia?). Dite ai giovani interisti che perdere con
classe è difficile, ma è meglio che perdere senza classe.
Accadrà d'essere sconfitti (meritamente, immeritatamente) in
cose più importanti del calcio. Quindi, tanto vale
prepararsi. "La sconfitta è il blasone dell'animo ben nato",
sosteneva un poeta argentino (parente di Cuper)? Potremmo
rispondere che di blasoni così ne abbiamo una collezione
(Lugano, Helsingborg, quel derby col Milan, Alaves).
Dell'Olimpico facevamo volentieri a meno. Anch'io ho detto
queste cose al piccolo interista di casa (classe '92),
mentre piegavamo la bandiera a scacchi neroazzurri e la
riponevamo in una cassapanca, dalla quale verrà estratta
solo il giorno dello scudetto. Mia moglie ha chiesto se
poteva farci una gonna, ma è stata ignorata. Mio figlio
invece ha commentato, al termine della cerimonia: "Devo
ricordarmi dove l'abbiamo messa. I miei bambini magari
vorranno saperlo". Bravo ragazzo: lo spirito è giusto. In
fondo, se avessimo vinto quest'anno, cosa ci restava da
sognare l'anno venturo? |
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Addio
Peppino, splendido fazioso interista - Giovedì, 13
dicembre 2001 |
Prisco disse più volte:
"Tifo per l'Inter e per
tutte le squadre che di volta in volta giocano contro Juve e
Milan". |
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Peppino Prisco l'ho
incontrato una volta sola. Quando siamo stati presentati, a
San Siro, mi ha chiesto, con quello splendido sorriso sbieco
da commissario di polizia, se fosse vero che, in un
articolo, l'avevo definito «imparziale». Ho risposto:
«Avvocato, me ne guarderei bene. Lei è la persona più
parziale che io conosca». Si è rilassato. «Ottimo», ha
detto, prima di scomparire dentro l'ombra monumentale
di Facchetti. Mi piaceva, l'avvocato Prisco. Mi
piaceva, prima di tutto, perché era interista (questa è
un'affermazione gratuita, e politicamente scorretta:
gli sarebbe piaciuta). Mi piaceva poi perché era milanese, e
come tutti i milanesi veri - quelli adottati, quelli con la
grinta e il cognome da importazione - era un po'
spaccone e decisamente buono; e la prima caratteristica
confluiva nella seconda, come gli avversari di Milano non
capiranno mai.
Mi piaceva, Peppino Prisco, perché in un calcio nevrotico
era rimasto uno che scherzava, imprecava e festeggiava. Il
pallone, per lui, non è mai stato una forma di guerra. Era
la versione lombarda del palio di Siena, e lui era un
contradaiolo metropolitano. Invece di piazza del Campo, il
campo di San Siro. Invece di un cavallo che gira in tondo,
dieci ragazzi che corrono avanti indietro, e uno che li
guarda dal fondo. A guidarli, invece del fantino Aceto, il
balsamico Cuper. Per il resto tutto uguale: voglia di
vincere, e una faziosità che mozza il fiato, scaldando il
cuore.
Mi piaceva, Peppino Prisco, perché era competitivo. Questo
vuol dire che adorava vincere, ma sapeva perdere. Diffidate
dei decoubertiniani che popolano gli stadi, piccole jene in
loden che dicono di amare gli avversari e li vorrebbero
morti. Credo che Peppino Prisco non si sia mai augurato
l'infortunio di un giocatore dell'altra squadra.
Gli bastava scivolasse al momento opportuno, e noi potessimo
far gol in contropiede (su questo punto devo chiedere
conferma agli esegeti di «Inter Nos - Cenacolo
Sportivo di Tifosi Interisti di Scuola Prischiana». Sta a
Bologna. Ho la tessera). Sì, non ho dubbi. Per l'avvocato
Prisco l'importante non era partecipare. Era vincere,
preferibilmente contro il Milan, con un gol di stinco al
novantaduesimo. Se poi, nella realtà, il Milan ci ha
rifilato dieci gol nelle ultime due partite - senza rubare,
accidenti - che importa? Noi abbiamo l'ironia, una bella
squadra, magnifici colori e un presidente che sorride come
un simbolista francese. E siamo primi in classifica.
A proposito. Volevo evitare di scrivere che Peppino Prisco
sembra aver scritto la sceneggiatura della sua uscita di
scena: neo ottantenne festeggiato, l'Inter
davanti, Ronaldo e Vieri che tornano a giocare e segnare
insieme, Milan e Juve in chiara difficoltà. Ma come non
farlo? Se ci sono lutti sereni, questo è uno.
Non poteva che regalarcelo, salutandoci, un tipo così. Uno
che non ha mai fatto il personaggio, perché era un
personaggio. Uno che aveva sostituito la foto dei genitori
sulla scrivania con quelle di Meazza e Ronie («I miei
capiranno»). Da oggi, però, orfani nerazzurri siamo noi.
Come la mettiamo? Potremmo vincere tre scudetti di fila, per
farlo contento. Oppure chiedergli una mano dal cielo per il
prossimo derby. Quello che non fermerà Toldo, lo prenderà
lui. E se dovesse accadere che non ci arrivano né Toldo né
Prisco, va bene comunque. Noi siamo l'Inter,
e ci basta. Vero, avvocato? |
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